giovedì 2 giugno 2011

Agenzie di rating sotto accusa

Dopo la Ue anche gli Usa stringono i freni sui giudizi di Moody’s, Standard&Poor’s e Fitch. La Sec impone nuove regole.

di Filippo Ghira

In pochi giorni le agenzie di rating Usa sono finite sotto attacco da diverse parti e sempre per lo stesso motivo. La dimostrata inattendibilità dei giudizi espressi sulla salute delle società quotate nelle principali Borse mondiali e sullo stato dei conti pubblici degli Stati. Giudizi che tengono conto sia della situazione patrimoniale, il livello del debito (e del disavanzo nel caso degli Stati), che di quella finanziaria vista in prospettiva e legata alla capacità di fare fronte agli impegni di cassa.
Negli ultimi anni queste agenzie, le principali sono Moody’s, Standard&Poor’s e Fitch, hanno registrato infortuni clamorosi valutando come più che affidabili i titoli di società, già ben conosciute sui mercati, che sono poi fallite di lì a breve, e consigliando quindi alla propria clientela (banche e società finanziarie) di acquistarne azioni e obbligazioni. Un consiglio che ovviamente è stato poi allargato da tali clienti ai propri clienti, cittadini, correntisti e piccoli risparmiatori, coinvolgendo così milioni di persone in quella che se non è stata un’autentica truffa costituisce, giusto per usare un eufemismo, una leggerezza imperdonabile.
Rimanendo negli Stati Uniti, nel 2001 fu il caso di Enron, l’anno dopo di WorldCom, infine nel 2008, con i primi accenni di crisi finanziaria in corso, e a poche ore del crollo delle quotazioni della Lehman Brothers , Moody’s accreditava della massima valutazione positiva i titoli della banca d’affari Usa che nemmeno Barack Obama, il maggiordomo di Wall Street, fu in grado di salvare. Non si tratta di un ruolo da poco perché le tre società di rating controllano l’80% del mercato globale, percentuale che sale al 95% su quello statunitense. Sono quindi in grado di condizionare il presente e il futuro di una società o di uno Stato, spostando enormi masse finanziarie in cerca di investimenti fruttiferi. Sono in grado in poche ore di abbattere la considerazione della quale gruppi industriali e finanziari, e gli Stati, godono sui mercati e di provocare un fuga generale dai titoli emessi da entrambi. Oltretutto, non essendo società del tutto indipendenti, è lecito sospettare che molte volte tali giudizi non siano semplicemente disinteressati e, se campati in aria, siano il frutto della valutazione di analisti un po’ distratti e superficiali. Ma poi, chi sono gli analisti che emettono i rating? E chi stabilisce che quello che scrivono sia la verità? Si può e si deve sospettare allora che tali giudizi spesso siano funzionali agli interessi dei gruppi finanziari di Wall Street e della City. Se non addirittura dei governi statunitense e britannico. Ma non solo questo. Il tira e molla di giudizi, a volte incoraggianti, a volte negativi, che da mesi si stanno abbattendo sui titoli di Stato di Portogallo, Irlanda , Grecia e della traballante Spagna, simpaticamente indicati a New York e Londra come Pigs (cioè porci), è la dimostrazione che le Tre Grandi possono essere usate politicamente per fare pressioni sui governi in questione e spingerli a realizzare tutte quelle riforme che gli sono state chieste in cambio dei prestiti ricevuti dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale. Riforme che contemplano iniezioni massicce di liberismo, con il lavoro reso sempre più precario e flessibile, con il congelamento per tre anni (come in Grecia e Irlanda) delle pensioni e degli stipendi pubblici, e con la vendita delle aziende di Stato operanti nel settore dell’energia e delle telecomunicazioni (ancora la Grecia). Il che significa la fine della sovranità nazionale. Questo non significa ovviamente che sia in atto una sorta di complotto concordato considerato che i diversi attori del sistema finanziario internazionale vanno spesso avanti ognuno per conto proprio. Vero è invece che costoro si trovano spesso ad esprimere posizioni concordanti su questo o quel problema che sono l’effetto del comune approccio mondialista ai problemi finanziari.
Ma le agenzie di rating non godono di consensi unanimi nemmeno nel mondo degli usurai legalizzati, tanto è vero che all’inizio dell’anno è stato lo stesso focoso direttore generale del Fmi, Dominique Strauss Kahn, attualmente ospite involontario dello Stato di New York, ad affermare che i giudizi delle tre Big “non sono una cosa seria”. E i recentemente suoi tecnici nel bollettino mensile avevano invitato gli operatori a “non fidarsi ciecamente” dei rating.
L’insofferenza per il comportamento delle varie Moody’s, Standard&Poor’s e Fitch, deve avere comunque raggiunto livello decisamente elevati se anche la Sec, l’organismo di vigilanza sulla Borsa Usa, si è vista costretta a dettare nuove regole che tengono conto in particolare della necessità di tenere separati in modo netto gli analisti dagli uffici commerciali. Oltre ai rischi “politici”, qui si trova infatti il punto debole delle agenzie, quello di essere pagate dalle stesse aziende o dalle istituzioni che sono chiamate a giudicare. Un autentico conflitto di interessi. Secondo le nuove regole Sec, gli analisti dovranno avere precisi standard professionali e le Tre Grandi dovranno rendere note al pubblico le metodologie adottate per i giudizi. Che si tratti anche di uno scontro di potere, di una contrapposizione tra il mondo finanziario europeo e quello anglosassone, è dimostrato dalla presa di posizione del presidente della Bce, il francese Jean Claude Trichet, che nel luglio 2010 ha definito “opportuno” porre  fine a questo “oligopolio”, considerata la loro tendenza ad amplificare i movimenti al rialzo o al ribasso dei mercati  finanziari. E lo stesso Presidente della Commissione Europea, Josè Barroso, aveva auspicata recentemente la creazione di un’agenzia europea indipendente.
In ogni caso è la stessa Italia a confermare che il rating sul nostro debito pubblico è una questione di opinioni. Ieri Moody’s ha confermato il giudizio su una stabilità dei nostri conti pubblici che viene garantito da un buono stato di salute del settore privato e dal basso livello di indebitamento delle famiglie. Al contrario Standard&Poor’s, ha abbassato sabato scorso la valutazione sull'Italia per il rischio che l'elevato indebitamento pubblico possa durare nel tempo, anche in conseguenza di una debole crescita economica e di un possibile stallo politico. Se quindi il governo nei prossimi due anni riuscisse a realizzare le riforme strutturali (in primo luogo quella del lavoro, reso più flessibile e precario) per migliorare la competitività internazionale delle imprese, i giudizi potrebbero rimanere ai livelli attuali. Altrimenti verrebbero abbassati e i titoli di Stato italiani diventerebbero meno appetitosi sui mercati. Se non è ricatto questo… I mercati hanno subito reagito spingendo al rialzo il rendimento dei titoli decennali che hanno raggiunto il loro massimo rispetto a quelli tedeschi, presi a riferimento per la loro affidabilità.


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