di Carlo Galli
Dietro le “riforme” dell’università e della magistratura, e l’aumento delle accise sulla benzina: distruggere le élites e sputtanare la cultura per rinsaldare il dominio del partito-azienda. La Repubblica, 29 marzo 2011
Oggi la lotta contro i magistrati; solo ieri è finita la campagna contro i "baroni" universitari. Prima debellati questi – soltanto per i profili più importanti: un po´ di piccolo potere locale è loro rimasto – , ora minacciati quelli. Certo, la politica di Berlusconi è soprattutto una storia di salvezza personale: su questo obiettivo si orientano molte delle residue energie del governo. Ma c´è un senso anche nell´attività politica non direttamente riconducibile alle sorti individuali del premier. Ed è un pessimo senso.
Che ha come obiettivo principale la riduzione del potere e dell´influenza delle élites tradizionali, cioè di quelle vaste e articolate formazioni di specialisti intellettualmente e professionalmente qualificati che costituiscono l´ossatura di uno Stato e che garantiscono l´interfaccia tra attività di governo e dinamiche della società civile; che sono indispensabili alle strutture d´ordine e alla dinamiche di progresso. Anche se non sono portatori della razionalità stessa dello Stato – come voleva Hegel – , si tratta di ceti dal ruolo strategico, anche nel mondo d´oggi: ogni Paese li produce e li seleziona in modi diversi, secondo storia, caratteristiche e esigenze.
In alcune realtà, come la Francia, si tratta prevalentemente di grandi burocrati; in altre, di militari; in altre ancora, come l´Italia, di professori e giuristi. Sono agglomerati istituzionali, o semi-istituzionali, che costituiscono una preziosa riserva di sapere e di potere (o almeno di competenze e di influenza) nella società e nella politica; come una sorta di ossatura, di spina dorsale, del Paese, che, informalmente, ne assicura la stabilità, che ne cura e rinnova gli interessi permanenti. Un interlocutore indispensabile per la politica: non per chiedere privilegi, ma per darle aiuto, per assicurarle coerenza, per istituire con essa una dialettica il più possibile ricca e feconda. Una società democratica, uno Stato liberale, una repubblica minimamente certa di sé, si articolano anche in questa complessità, in questa ricchezza.
Contro la quale, invece, si scaglia – sistematicamente, coscientemente, coerentemente – la strategia della maggioranza: che infatti non è né liberale né democratica ma populista. E del populismo condivide il timore e il disprezzo per le élites, il risentimento contro il presunto privilegio dei "pochi" che non si presentano come parvenus ma che esibiscono un´appartenenza di ceto, comportamenti dettati non dalla smania di acquisizione o di protagonismo ma dall´ethos e dall´orgoglio professionale, dalla consapevolezza del merito, dalla certezza del dovere. Contro questi "poteri forti", contro questi "radical chic", contro questi "aristocratici da salotto", viene scatenata la massa populista; a cui si additano i professori come indecenti nepotisti, e i magistrati come impuniti persecutori di innocenti; agli uni e agli altri – pur così diversi tra loro, quanto a funzione – deve essere fatta pagare la loro aria di superiorità, il sentore di privilegio che li accompagna. In realtà, quello che devono veramente scontare è di essere un contropotere rispetto al potere politico: un contropotere debole, che chi ha vinto le elezioni – e dunque è in possesso dell´unica legittimità che, secondo il pensiero dominante, possa essere fatta valere – può spazzare via, o almeno intimidire, ridurre a più miti consigli, con una strategia di bastone (molto) e di carota (poca), volta a disarticolare i ceti, a costringere i singoli componenti alla trattativa. La Casta (vera) contro le Caste (presunte).
Fare una riforma dell´Università che ponga "al centro lo studente", istituire la responsabilità civile dei magistrati, sono – nelle condizioni di oggi – solo abili mosse demagogiche che hanno la finalità reale di ridurre all´obbedienza élites riottose. Benché sia vero che nessuna di esse è immune da pecche, anche gravi, la lotta del potere politico non è contro queste, quanto piuttosto contro il ‘sistema´ stesso delle élites, i cui membri devono limitarsi a erogare anonimamente un "servizio" tecnico meramente funzionale.
Del tutto in linea con questo intento è anche il finanziare la cultura rendendone evidente e sommamente impopolare la fonte – le accise sulla benzina – come per mettere il popolo, le masse, contro i lussi sofisticati e incomprensibili dei "pochi". E perfino la lotta contro i metalmeccanici – quel che resta dell´aristocrazia operaia – è interpretabile, oltre che nelle sue connotazioni più ovvie, anche all´interno del medesimo disegno di riduzione tendenziale della società a uno spazio liscio, disorganizzato, abitato da consumatori massificati, in cui emerge solo il potere plebiscitario di chi ha vinto le elezioni, più qualche folkloristico campanile a rappresentare le "radici" del popolo. Unica élite ammessa, a scopi meramente funzionali e, com´è giusto, rigorosamente individuali: gli avvocati difensori.
Questo è un problema per l´oggi e per il domani, durante Berlusconi e dopo Berlusconi: qualcuno, un po´ lungimirante (se c´è), dovrà pure cominciare anche a pensare in termini di ricostituzione delle élites, cioè di saperi e competenze che a partire da una specifica professionalità sappiano costituire l´ossatura generale del Paese. E intanto, per favore, coloro che stanno realizzando questa Italia invertebrata, almeno non si definiscano liberali.
(29.03.2011, Fonte)
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mercoledì 6 aprile 2011
Il disegno populista
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