sabato 12 febbraio 2011

Minestra della giustizia: la solita sbobba

di Alessandro Gallucci

Alfredo Biondi, Filippo Mancuso, Lamberto Dini, Vincenzo Caianiello, Giovanni Maria Flick, Oliviero Diliberto, Piero Fassino, Roberto Castelli, Clemente Mastella, Romano Prodi, Luigi Scotti, Angelino Alfano. A vederli schierati tutti in fila sembra quasi di recitare la formazione di una squadra di calcio. Negli ultimi diciassette anni, quelli della tanto famigerata, e cara ai media, seconda repubblica, tra titolari effettivi ed interim abbiamo avuto ben 12 ministri; in media all’incirca uno ogni 16 mesi.

Non importa chi abbia avuto maggiore o minor tempo di amministrare quel dicastero, i problemi, come ci suggerisce impietosamente la realta’ quotidiana, sono sempre li’.

Le carceri erano e restano luoghi fuorilegge e non istituti per la rieducazione dei condannati.

I procedimenti civili continuano ad essere la beffa per chi ha subito un danno.

Il processo penale, lungi dell’essere giusto come prescrive la Costituzione, soprattutto nella fase delle indagini, sostanzialmente resta ancora un affare in mano ai pubblici ministeri ed il cittadino in balia del buon senso del magistrato di turno.

La ricetta fin’ora seguita, in perfetta alternanza tra le fazioni politiche, e’ chiaramente inefficace. Al solito come avviene in Italia si pensano e mettono in pratica provvedimenti (arditamente chiamati riforma o mini riforma) schizofrenici, asistematici e che relegano l’interesse del cittadino in secondo piano. Si sente spesso parlare di alleggerimento del carico giudiziario eppure sarebbe piu’ giusto dire velocizzazione dei tempi della giustizia. La disputa non e’ meramente nominalistica ma il piu’ delle volte si traduce in provvedimenti tanto odiosi da avere il retrogusto amaro della denegata giustizia. Un esempio su tutti: il costante aumento del valore del cosi’ detto contributo unificato per le spese di giustizia, aumento ormai abituale quasi quanto quello del costo delle sigarette. L’opposizione ad un verbale per un’infrazione del codice della strada costa 33 euro. L’impugnazione di un provvedimento amministrativo davanti al T.A.R. 500.

Il sistema della giustizia, di fronte all’incapacita’ di dare risposte certe e rapide, si chiude su se stesso, ponendo ostacoli di carattere economico alle necessita’ di ottenere garanzia del rispetto della legge. E’ (mutuando da altre questioni, una definizione cara a Stefano Rodota’) una forma di “cittadinanza censitaria” che non risolve i problemi ma li aggrava. Sia ben chiaro, nessuno pensa che esistano risposte di facile soluzione; tuttavia, e’ indubbio che debba essere rimesso a fuoco l’obiettivo principale, il cittadino.

Lo stato di diritto e’ tale se fornisce risposte chiare, precise e giuste nel minor tempo possibile ed al minor costo praticabile. Diversamente, delegare allo Stato la forza punitiva, significa solamente negare il diritto individuale e la coesione sociale. A quel punto “il diritto delle tigri” sarebbe dietro l’angolo o, forse, c’e’ gia’.

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