La centrale nucleare di Cernobyl |
Incidente serio o catastrofe? Vent’anni fa, il mondo assistette al più grave incidente nucleare della storia: Cernobyl, una disgrazia che fa discutere da 2 decenni. Dall’’86 infatti esperti, ambientalisti e organizzazioni internazionali litigano sulla conta dei morti e dei danni e usano i dati di Cernobyl per riabilitare il nucleare, ridimensionando la portata dell’incidente, o per condannare senza appello i reattori di tutto il mondo, dimenticando, per esempio, che quello di Cernobyl non era il tipico reattore civile per la produzione di energia nucleare, ma, come ci dice il fisico Carlo Bernardini dell’università La Sapienza, “era un reattore senza ‘coperchio’”, ovvero senza protezione, per permettere l’estrazione del plutonio 239 per le armi nucleari. Al diluvio di cifre e dossier, nel settembre del 2005 si è aggiunto il rapporto del ‘Cernobyl Forum’, un team internazionale che includeva i governi delle aree più colpite, tipo la Bielorussia, e ben 8 agenzie ONU, tra cui l’OMS, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, ma soprattutto l’AIEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, che sorveglia sull’uso dell’energia nucleare e che invia ispettori in paesi come l’Iran. Elaborato nella speranza di poter mettere fine alle polemiche, il rapporto conclude che sì, l’incidente di Cernobyl è stato serio, ma non una catastrofe: nelle aree più colpite dalle radiazioni si prevedono ‘soltanto’ 4.000 casi di cancro. “Un messaggio rassicurante”, secondo il funzionario OMS Michael Repacholi, “uno scandalo”, insiste invece Garwin, ricostruendoci i fatti.
Reattori e cospiratori Nel ’93, l’UNSCEAR, il Comitato ONU che stabilisce i livelli globali e gli effetti delle radiazioni, documentò che la dose totale di radioattività dovuta all’incidente di Cernobyl era di 600.000 sievert-persona. (Si veda il rapporto: www.unscear.org/unscear/en/publications/1993.html, pag. 23), dopo quel rapporto del ‘93, però, questo dato sparì completamente: non ce n’è traccia né nel successivo rapporto UNSCEAR del 2000, né in quello del Cernobyl Forum del 2005, Forum di cui l’UNSCEAR è parte. Se questo dato non fosse stato “nascosto”, come insiste Garwin, la conta dei morti salirebbe decisamente e dovremmo aspettarci 34.200 casi di cancro, di cui oltre 12.000, anziché 4.000, nelle aree più colpite. Ovviamente”, ci spiega Garwin, “questi morti non saranno mai identificati come ‘le vittime di Cernobyl’, rimarranno nel calderone delle decine di migliaia di persone che nello stesso periodo di tempo moriranno di cancro per altre cause, ma rimane il fatto che sono dovute a Cernobyl”. Di fronte a tutto ciò, si potrebbe obiettare che la parola ‘cospirazione’ forse è un po’ forte: i comitati scientifici di tutto il mondo introducono e scartano dati a discrezione, appellandosi a metodologie opportune. “Il punto è proprio questo”, spiega Garwin, “il dato dei 600.000 sievert documentato nel rapporto UNSCEAR ’93, è semplicemente sparito, non è stato contestato, ridimensionato o comunque discusso con rigore scientifico: è caduto nel dimenticatoio di ben 8 agenzie ONU, perciò parlo di cospirazione”. Ma perché l’AIEA e il Forum l’avrebbero fatto? “Probabilmente i paesi più colpiti, come la Bielorussia, vogliono ridurre le spese per Cernobyl e l’industria nucleare vuole ridimensionare la paura che la circonda”. Garwin è un fan della prima ora dell’energia nucleare, proprio per questo è tanto rigoroso. “Il comportamento dell’industria nucleare ricorda quello delle multinazionali del tabacco, che negavano la dipendenza da nicotina. Semplicemente inaccettabile. L’industria nucleare dovrebbe ammettere onestamente le conseguenze di Cernobyl, perché ha una storia che depone a favore della sicurezza e i vantaggi dell’energia nucleare superano di gran lunga gli svantaggi. Inoltre, il principio ‘chi inquina paga’ dovrebbe essere sacrosanto: risarcire personalmente chi morirà di cancro per Cernobyl non è possibile, proprio perché non è distinguibile dagli altri morti di cancro, ma è possibile stabilire il numero collettivo di vittime e dunque una cifra di risarcimento, cifra che l’industria nucleare dovrebbe versare a un fondo collettivo e che poi la comunità userebbe come ritiene opportuno. Così facendo, l’industria nucleare sarebbe ancora più motivata a investire sulla sicurezza, proprio perché gli incidenti costerebbero cari”.
(da LA STAMPA, 26 aprile 2006, Fonte)
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