Una ventana abierta sobre Cuba para esponer las mentiras que circulan por el Web sobre este pais. El blog se centra en los estilos de vida del tercio milenio, contiene asuntos políticos y noticias principalmente de Italia, Europa, Cuba y América Latina, en todo caso tratando de exponer los engaños de la globalización y del neoliberalismo selvaje en cualquier parte del mundo se producen estos.
mercoledì 30 luglio 2014
Lo sterminio programmato di Ben-Gurion
Allora, cominiciamo dall'inizio, dalla formazione dello stato di Israele...Nel 1948 gli ebrei di tutto il mondo furono chiamati a raccolta da un'elite capeggiata dall'ebreo viennese David Ben-Gurion, a popolare la neonata nazione sionista, con un preciso obiettivo: crescere in numero, rafforzarsi, armarsi, per poi allargare i confini e spazzare via tutti gli arabi dalla regione. Una parte degli ebrei sparsi per il mondo, probabilmente molti senza essere coscienti del pericolo, decise di confluire nel neonato stato di Israele, mentre un'altra parte emigrò negli Stati Uniti. Tra quest'ultimi vi erano anche molti adepti della fanatica ideologia di Ben-Gurion, in tutto e per tutto d'accordo nei principi e in contatto diretto con gli ebrei sionisti che avevano invece scelto come loro patria d'adozione Israele. Ora, sappiamo tutti che negli USA gli ebrei, o per meglio dire gli ebrei sionisti, detengono il grosso del potere economico-finanziario. Perchè nel '48 scelsero l'America? Perchè era la patria delle opportunità economiche, essi si sarebbero arricchiti per finanziare la corsa agli armamenti israeliana e la causa sionista in tutto il mondo. Più precisamente, gli ebrei americani avrebbero puntato tutte le loro forze ed energie sull'arricchimento, investendo e cogliendo i frutti al momento opportuno: investirono sul mercato del cinema a Hollywood, sull'estrazione del petrolio ma soprattutto sul mercato delle armi. E si sa, per far prosperare il mercato delle armi occorrono guerre. Quindi, fin dal principio gli imprenditori sionisti crearono delle lobbies di pressione sui vari governi americani, in modo tale che questi scatenassero o partecipassero a delle guerre in tutto il mondo, tranne che in territorio americano, poichè si sa, le guerre interne, ad eccezione della vendita di armi, non fanno prosperare gli affari, i quali traggono invece maggiore vantaggio da una situazione di pace. Le guerre arricchirono così a dismisura i mercanti d'armi sionisti, che arrivarono ad incidere direttamente sulle scelte della politica estera di ogni governo americano, sia repubblicano che democratico. Lo scopo del sionismo di Ben-Gurion era chiaro fin dall'inizio: arricchire gli ebrei a discapito di tutte le altre nazioni del mondo, le quali andavano distrutte prima di tutto finanziariamente e poi se necessario anche fisicamente, in quanto tutte quante responsabili dell'odio antisemita, della Shoà, dei lager nazisti, dell'eccidio del popolo ebraico nel corso della seconda guerra mondiale, in una sorta di uno contro tutti, dove alla fine ne dovrà sopravvivere uno solo: o il popolo ebraico o tutti gli altri popoli. A questo scopo Israele si dotò della bomba atomica, perseguendo con tenacia e di nascosto il suo obiettivo di diventare una grande nazione e poter dettare così un giorno la sua legge su tutto il mondo. Durante la guerra fredda se ne stette tranquilla, mentre USA e URSS si fronteggiavano, riempiendo il suo arsenale militare come una formichina laboriosa. Il resto è attualità: la richiesta di Obama a Netanyahu, per un immediato cessate il fuoco incondizionato, non è stata nemmeno presa in considerazione; Obama è stato costretto dagli eventi a focalizzare la sua attenzione su un altro conflitto, quello russo-ucraino, che se vedrà l'intervento della NATO, alimenterà ulteriormente le casse dei mercanti d'armi sionisti americani, dando loro un ulteriore vantaggio, altra linfa finanziaria per perseguire il loro unico scopo: quello di vedere distrutte tutte le nazioni non-ebree, di vedere morti tutti i popoli non-ebrei. E il cerchio si chiude...Scusate per il dilungare del ragionamento, ma era necessario.
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martedì 29 luglio 2014
Bertinotti: Cosa è di Cesare e cosa è di Dio. Il vero “nomos” della laicità
Questo articolo di Fausto Bertinotti, pubblicato sulla rivista “Segno”, è tratto da un discorso pronunciato durante le “Settimane Alfonsiane”, a Palermo. Questo tranquillo e dotto discettare di teologia come se si trattasse di dati assodati, in particolare la riverenza verso la figura di Gesù, e questa ricerca di un accordo col marxismo, con questa specie di lettura incrociata, per certi versi preoccupano e ci anche fanno chiedere: che fine ha fatto la sinistra?
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“A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”. Dietro l’apparente semplicità di questa risposta del Cristo, c’è non solo una straordinaria complessità, ma anche una difficoltà di interpretazione delle sue parole. Se non si parlasse del Cristo, si potrebbe dire che nella sua risposta c’è una malizia.
Forse allora non si può dire così, ma certo è evidente che c’è un elemento difensivo, un elemento con il quale egli si propone di non cadere in una trappola tesagli da parte di chi, e del resto è Luca a scriverlo, intendeva consegnarlo all’autorità e al potere del governatore.
Quindi si può dire che la trappola era così manifesta da essere evidente al testimone. Non cadere nella trappola era dunque la molla primitiva della risposta che, tuttavia, la trascende. La trascende in una formulazione che credo dissimuli, mentre rivela, e costringe perciò ad un grosso lavoro interpretativo.
Il lavoro interpretativo è tanto più impegnativo perché investe certo non quel che viene detto, ma anche ciò che su quella base accadrà all’interno della storia del cristianesimo e del rapporto tra il cristianesimo e la politica. Si può infatti aggiungere che non solo ci sono possibili interpretazioni diverse delle frase, ma ci sono stati tempi storici diversi nei quali si sono prodotte interpretazioni diverse.
Tempi diversi rispetto al rapporto tra religione e politica hanno influenzato il prevalere, per quel determinato periodo, di una interpretazione su altre di questa stessa formula così ricca e complessa.
Vi chiedo scusa perché, approfittando dell’amicizia e del luogo, azzarderò, come sentirete, delle cose di cui non mi sento affatto sicuro, anche per la modestia dei miei canoni interpretativi. È davvero l’azzardo di un lettore qualunque, non di chi possiede, in termini approfonditi, l’intelaiatura teologica necessaria.
Proporrei di liberarci subito, lo dico perché faccio questo di mestiere, da un uso troppo corrente della formula, cioè della sua precipitazione hic et nunc nella politica, e in particolare in uno dei suoi aspetti, la questione delle tasse. Penso che i problemi del fisco, delle tasse, non abbiano bisogno per essere risolti nella sfera della politica di ausili esterni, né della fede né del ricorso a Dio. Non c’è bisogno alcuno, per questo versante, della religione. La questione delle tasse è certo una questione fondativa della politica moderna, dai coloni americani si può dire che la questione si è legata a quella così impegnativa della cittadinanza. Per difendere vecchi interessi, antichi e nuovi privilegi, si possono sostenere anche tesi grossolane altrimenti indicibili, ma rimane il fatto che non si dà lo Stato moderno senza una politica delle tasse. Non si dà uno Stato moderno senza lo Stato sociale, senza la costruzione dello Stato sociale e senza un’idea di redistribuzione della ricchezza che si proponga, almeno, di attenuarne le diseguaglianze più impresentabili socialmente e senza che, almeno nelle dichiarazioni, si proponga di lenire, fino a ridurre, eliminare le povertà. Con tutta evidenza, la tassazione è un elemento necessario alla costruzione dello Stato sociale, un elemento di tutela della cittadinanza ed è un elemento di redistribuzione della ricchezza in termini di giustizia e di tutela dei più deboli. Almeno configura una possibilità che così accada.
Come abbiamo imparato nella realtà, per esempio del nostro paese, la tassazione medesima ha invece incorporato un elemento di ingiustizia con cui ha addirittura, essa stessa, aggravato le disuguaglianze. Ma il suo fondamento, ciò che la giustifica socialmente, resta legato a quei due elementi. L’articolo 3 della Costituzione italiana non potrebbe essere stato scritto senza l’assunzione piena di una equa politica fiscale proprio laddove recita che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che si frappongono al libero sviluppo della personalità umana. Liberare lo sviluppo della personalità umana da questi ostacoli vuol dire avere una capacità di intervento anche economico oltre che legislativo in grado di determinare il perseguimento dell’obiettivo. Si potrebbe dire che il terreno delle tasse – così chiudiamo questa breve parte – si configura come un terreno della organizzazione della solidarietà statuale. E vorrei ricordare a questo proposito la brillante formula di padre Marie-Dominique Chenu, che diceva essere la solidarietà un punto di congiunzione tra l’idea di carità (cristiana) e l’idea di eguaglianza (marxiana). Appunto, la solidarietà come cardine della società richiede una determinata politica fiscale, essa stessa coerente con questo assunto e capace sia di intervenire sul terreno del prelievo, su chi pesare e come, sia di intervenire sulla direzione della redistribuzione della ricchezza. Ma, ripeto, su questi problemi francamente non dovremmo scomodare Gesù Cristo.
L’autonomia della politica
Ci sono invece molte altre questioni assai rilevanti che si pongono proprio in rapporto alla politica nella formula che siamo chiamati a discutere. Io penso che siano giuste le cose che ha scritto nella presentazione di questa iniziativa Nino Fasullo. E cioè che, nello sviluppo della tradizione, la fase caratterizzata dall’ispirazione messianica, non solo non comprende l’intera storia delle relazioni tra cristianesimo e politica, ma anzi ne racchiude parti assai limitate. Ciò che la tradizione nel suo sviluppo, dunque in un lungo periodo di tempo, ha fissato nella formula “date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio”, è la qualità stessa della politica moderna, cioè la laicità. Per dirlo un po’ più forzatamente: nella formula c’è il principio fondativo dell’autonomia della politica. Anche nell’autonomia si può avere bisogno dell’altro, come si sa. Ma è un bisogno che si manifesta in termini che non possono mai essere sostitutivi della tua autonoma capacità di darti conto di quello che fai, del suo senso generale e di fondare la progettazione del tuo agire in una sfera autonoma che, se non mi piace chiamare di valori, è certamente di grandi coordinate etiche e politico-programmatiche. La stessa costruzione delle costituzioni moderne nasce così. Il processo costituzionale è l’ambizione della politica a costruire la sua autosufficienza, che, naturalmente, non vuol dire autarchia, non vuol dire incapacità di relazione, di dialogo. Il processo costituente è l’idea che un soggetto, il popolo, conquista la sua sovranità attraverso la costituzione di una propria soggettività, come entità storica, fondata su una determinata idea di organizzazione sociale e civile rispondente, a sua volta, ad un preciso rapporto tra i principi e la prassi. In questo processo costituente la libertà e la responsabilità umane costituiscono le fondamenta della costruzione storica della repubblica, i suoi principi irrevocabili e non sostituibili.
I due poteri
In questo senso penso che l’alta formula di cui discutiamo chiede in primo luogo di non confondere le cose che sono di Cesare con le cose che sono di Dio. E so bene che si può obiettare che non è facile stabilire il confine tra le une e le altre e che neppure si può, per le ragioni prima ricordate, far ricorso ad una cattedra per stabilirlo. E tuttavia si tratta di un “tendere a”, di un disporsi a fare “come se” per determinare, sulle cose di Cesare, una sovranità degli uomini. Riconosco, nella tradizione c’è l’affermazione del tempo lungo contro il tempo breve. Questo è il tempo della secolarizzazione, accettata dallo stesso percorso religioso, anche se, come vediamo bene in moltissime insorgenze attuali, si verifica la tentazione proprio in questo nostro tempo di mettere in discussione questa conquista che si esprime nel moderno. Non vedo niente di buono in questo mettere in discussione l’idea della laicità dello Stato. So che è un’idea che richiede l’accettazione della modestia del tempo lungo a cui non va contrapposta la grandezza, che può farsi esponenzialmente crescente, del tempo dell’avvento, del tempo breve che resta. Fuori da quest’ultimo occorre organizzare una convivenza tra due poteri, due poteri di natura diversa, ma sempre poteri. A meno di non voler ricorrere all’idea attribuita a Stalin secondo cui ci si sarebbe dovuti fare la domanda su quante divisioni disponesse il pontefice. Se si esce dalla rozzezza di questa interpretazione, bisogna pensare necessariamente a due poteri di influenza, e quindi alla costruzione dell’autonomia per evitare un conflitto distruttivo. E come Fasullo ha ricordato correttamente, tra questi due poteri c’è sempre la possibilità del dominio, precisamente del dominio dell’uno sull’altro (e di entrambi sulla persona e sulla società). Oppure si può dare una capacità egemonica, per usare un termine in questo contesto discutibile, che lascierebbe l’apparenza dell’autonomia ma ne corroderebbe la sostanza. E’ possibile, cioè, che si determini una condizione nella quale le apparenze sono quelle della convivenza dei due poteri, ma la sostanza è quella della manomissione dell’uno a vantaggio dell’altro. Nella storia nostra tante volte è accaduto. Penso che questa condizione, quando si determina, sia una perdita per entrambe le sfere.
Le intuizioni di Giovanni XXIII
Credo che il punto più alto che abbiamo conosciuto in questo sviluppo della civiltà dei due, o dei molti, poteri e culture conviventi sia stata la stagione del Concilio Vaticano II. Non mi riferisco soltanto a ciò che ha determinato nell’ecclesia, ma alla stagione tout court. Penso che quello sia stato il punto più alto del dialogo. Non sempre, come sappiamo, la storia procede per evoluzioni, anzi quasi mai. Bisogna arrendersi all’idea che si può arretrare drammaticamente, che gli scacchi che subisce la storia, nel processo di costruzione del progresso sociale e della civiltà, possono essere così rilevanti da indurci ad abbandonare la stessa nozione di progresso come possibilità interpretativa del corso della storia. Il Concilio Vaticano II secondo me è stato il punto più alto di una storia. E lo è stato, scusate se mi addentro in terreni che davvero non mi sono propri, anche di più dal punto di vista di una rottura nella storia della Chiesa e nella costruzione teologica. Non c’è bisogno di essere particolarmente esperti per riconoscere a due intuizioni di Giovanni XXIII il significato di una straordinaria invenzione di futuro, di una geniale invenzione di futuro. Una è la formula degli “uomini di buona volontà”, rottura epistemologica, di linguaggio, di cultura che per la prima volta ci fa toccare con mano l’idea che non ci sono mondi separati tra credenti e non credenti e tra le diverse fedi, ma che invece gli uomini si affratellano secondo la buona volontà. Torneremo poi su questo punto che a me sembra essenziale.
Il secondo elemento è l’ingresso nella teologia della categoria di “popolo”, connesso a quelli degli “uomini di buona volontà”, e la ricostruzione, anzi la considerazione di un popolo, del popolo, come fondamento anche della ricerca di Dio e della fede. Si è posta così una revisione, se posso usare questo termine preso in prestito dalla politica, nella teologia di grandissimo rilievo e si è avviata la fondazione di una teologia politica aperta a un incontro di umanità, nell’orizzonte di un nuovo umanesimo, se si può usare con una formula così mal definita.
In esso il cristiano non si separa, ma si propone come lievito, come sale della costruzione di una nuova umanità. C’è qui una rottura radicale, con ogni propensione integrista e integralista, intendendo per integrismo, nel rapporto interno al fenomeno religioso, quel che gli dà la propensione a ritenere la sua proposta indispensabile al prodursi della buona politica, e per integralismo il comando della religione che viene organizzato sulla politica medesima. C’è una rottura grande su entrambi i terreni. E c’è la promozione, da parte della Chiesa, dell’umano come orizzonte comune, per il credente e per il non credente, in una condizione in cui il fine della promozione umana, fino al suo compimento terreno, può essere il compito degli uomini di buona volontà, sia credenti che non credenti. C’è lì l’idea più alta, secondo me, elaborata dentro la Chiesa cattolica, del rapporto tra fede, religione e politica, ed essa, a sua volta, incontra uno dei punti più alti della politica. Senza che questo determini la statica appartenenza ideologica, la fissità di un modello di trasformazione, penso anch’io come Franco Rodano che la politica ha toccato il suo punto più alto con la nozione di rivoluzione, se per rivoluzione si intende l’assunzione della prospettiva di liberazione delle donne e degli uomini da ogni forma di sfruttamento e di alienazione.
Il balzo di tigre
Capisco che con ciò la politica, anch’essa, si espone alla possibilità del passaggio dal tempo lungo al tempo breve. Nel momento in cui la politica si porta su questo terreno, che è quello della sua più grande ambizione, che è appunto la rivoluzione, anch’essa entra in contatto con un orizzonte escatologico. E anch’essa può interpretarsi non più secondo i tempi e il ritmo del tempo che scorre, bensì sulla base dell’attesa del tempo che resta, del tempo che resta all’avvento rivoluzionario. Proprio su questo Walter Benjamin scrive le sue pagine più travolgenti, secondo me assolutamente straordinarie nella storia del pensiero. Nelle sue famose tesi l’elemento messianico torna costantemente come un punto di svolta. In esso si colloca ciò che chiama il “balzo di tigre”, cioè quel tornare indietro sui punti, sugli snodi della storia, dove gli uomini che volevano un destino diverso hanno perso per ritrovare nella storia dei vinti i brandelli possibili di un futuro. Ricordate bene l’immagine così intensa di quell’angelo, l’ Angelus Novus , che viene sospinto dai venti della storia del progresso in avanti, mentre il volto si torce a vedere le macerie di cui è disseminata la storia dell’umanità. Bene, lì c’è tutta la più grande esposizione a un tempo difficile e cruciale. Riconosco che persino in Karl Marx, che ha posto il tema nella storia moderna, questo problema è irrisolto. Nel senso che ci sono due Marx (come in tutti i grandi, di possibili letture ce ne sono sempre almeno due). Ce n’è uno, quello maturo, quello del Capitale , quello dei Gründisse , che ha ben presente il limite della politica. La sua concezione della rivoluzione non è rivolta alla fine della storia, non è la creazione di un ordine altro fuori dalla storia e di un uomo nuovo totalmente altro da quello che abbiamo fin qui conosciuto. Un’idea prometeica che invece c’è nel Marx giovane, in alcuni passi del Marx giovane, in cui sembra che la politica si configuri come una potenza illimitata, ponendosi così al confine con certe ispirazioni presenti nella teologia politica, quasi proponendo una liberazione che pone l’uomo fuori della storia. Nella versione maturata sulla critica allo sfruttamento e all’alienazione dell’uomo nel capitalismo, nella secolarizzazione della ipotesi di Marx in lotta di classe, nella versione secondo cui la politica alta è quella della rivoluzione, quella che rimuove la causa, il capitalismo che impedisce lo sviluppo della personalità umana, (una concezione che quindi ha presente il confine nella storia e il limite dell’uomo), in quella concezione che assegna alla rivoluzione il compito storico di eliminare la causa dello sfruttamento c’è la possibilità di incontrare precisamente quella teologia politica rivista, di cui parlavo riferendomi al Concilio e a Giovanni XXIII, che non casualmente proclama che il più grande peccato dell’umanità è “lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”.
La teologia di Paolo
Queste convergenze, pur nell’autonomia delle sfere, possono configurare un’idea della laicità che a me sembra quella più alta e più adeguata di quella della semplice separazione delle sfere. Un’idea che andrebbe riproposta o, almeno, reindagata. Secondo questa concezione, la politica può svolgere da sola il suo compito, anche quello più alto, quello della promozione dell’umano. A questo stesso compito possono concorrere, come lievito e sale, fedi e religioni che, al di là del compimento di questo compito storico e mondano, trovano il loro cammino proprio proponendo all’umanità la liberazione trascendente e definitiva dell’uomo dal peccato nell’incontro con Dio. Su questo limite comincia un’interrogazione su cui finisco il mio intervento, e che mi affascina molto. Il Paolo di cui qui si parlava è interno alla esegesi, alla lettura che qui dibattiamo del “date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”, oppure va oltre? La teologia politica di san Paolo, specie quella che emerge nella Lettera ai Romani, credo vada al di là di ciò che pure concorre a determinare, cioè, la migliore delle letture della formula del Cristo. È sulla base di questa ispirazione che lavora a rimuovere, intervenendo sulla causazione ideale, le basi dell’antropologia signorile, per metterle in discussione fin nelle sue fondamenta.
C’è un sovrappiù, credo, rispetto alla formula “date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio”, c’è qualcosa che lì non è compreso. Quando nel tempo lungo della storia e nella dimensione del nostro vivere quotidiano, dunque anche nella povertà oltre che nella grandezza dell’ambizione di questo essere umano, si fa strada la dimensione messianica ed escatologica, e il tempo che resta prende il posto del tempo che passa, allora la teologia politica di Paolo si colloca contro Cesare, la sua teologia politica si erge contro Cesare. Jacob Taubes dice a questo proposito, secondo me, delle cose molto convincenti. Mi appello a un’autorità per dare forza alla tesi che sostengo, me ne scuso, però Taubes dice cose davvero molto convincenti. La teologia di Paolo è contro la legge. Siccome spesso viene usata contro questa interpretazione del suo pensiero, il realismo di Paolo, debbo dire che l’osservazione non mi sembra efficace. Quando ci si riferisce alla lettera con cui Paolo dice del ritorno dello schiavo alla sua condizione: non si può non vedere l’essenziale, la già citata demolizione della sua legittimazione. C’è la questione della mancata sollecitazione alla rivolta contro l’impero romano. Secondo me c’è una risposta molto convincente che spiega questo atteggiamento, che non è per nulla, come diremmo oggi con il linguaggio della politica, opportunistico. Se uno ritiene che l’apocalisse è prossima, che l’ora della verità si avvicina, se il tempo che resta è breve, perché dovrebbe impicciarsi dell’impero romano? Perché dovrebbe perdere il suo tempo, che è breve, a occuparsi di una cosa così circoscritta e mondana quando il problema che si pone drammaticamente e con urgenza spasmodica è quello della liberazione dell’uomo dall’alienazione originale, non dall’alienazione congiunturale, storica, definita, bensì da quella primigenia e fondativa? Del resto l’universalità e la storicità di Paolo c’è pure, la vedo anch’io, ma passa per il crocifisso, e non anche, ma interamente e solo per il crocifisso.
Quando Paolo di Tarso dice che il nomos non è l’imperatore ma chi è crocifisso, non alza una temperata critica alla legge, propone il rovesciamento del paradigma della legge. La legge non è più l’imperatore ma il crocifisso: è la fuoriuscita dall’imperatore e dalla legge. Non ci potrebbe essere rovesciamento più radicale. Ed è con questo rovesciamento, che diversamente da Mosè, il quale accetta la continuità del popolo ebraico, che Paolo rompe con essa e fonda l’idea della costruzione del nuovo popolo. Perché sceglie il Cristo risorto piuttosto che l’insorgere contro il malvagio impero romano. C’è lì una scelta di fondo, che non è né una scorciatoia né un approccio opportunistico. Ma allora qui, secondo me, possiamo vedere una diversità, non col messaggio evangelico di Cristo, ma tra la formula “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” e questa lettura paolina. C’è, a me pare, una differenza. Il “date a Cesare quel che è di Cesare”, secondo me, non casualmente, semina i germi che danno luogo alla migliore tradizione del rapporto, nella storia, tra la religione e la politica ai tempi lunghi, alla laicità. Laddove la formula, la teologia politica di Paolo propone l’irruzione nella storia del momento messianico come rottura e lacerazione della storia medesima, come sradicamento da quella storia e come precipitazione apocalittica nella sua versione di attesa dell’evento e della resurrezione. E così si propone una comunità terza che è fuori dalla comunità etnica del popolo ebraico ma è fuori anche dall’ordinamento giuridico romano. Si tratta, secondo me, lo ripeto ancora per dare concreto senso del mio limite di conoscenza, di una teologia politica negativa. Negativa non vuol dire che porta con sé un segno di negatività. Teologia negativa nel senso di essere portatrice della contestazione che scardina ogni ordine terreno, che mina la funzione della legge come ordinamento politico ed ecclesiastico naturale, perché nega in principio la legge in quanto ordinamento, perché la parola messianica, la sospensione del tempo storico, prende il posto della storia. Il “date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio”, che è anche la maliziosa risposta di un uomo che prima di risorgere viveva totalmente la sua umanità, viene superata dalla crocifissione che può dar luogo anche al superamento di quella formula in una teologia politica contro i Cesari, cioè contro tutti i poteri.
Fonti: liberazione.it; uaar.it
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“A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”. Dietro l’apparente semplicità di questa risposta del Cristo, c’è non solo una straordinaria complessità, ma anche una difficoltà di interpretazione delle sue parole. Se non si parlasse del Cristo, si potrebbe dire che nella sua risposta c’è una malizia.
Forse allora non si può dire così, ma certo è evidente che c’è un elemento difensivo, un elemento con il quale egli si propone di non cadere in una trappola tesagli da parte di chi, e del resto è Luca a scriverlo, intendeva consegnarlo all’autorità e al potere del governatore.
Quindi si può dire che la trappola era così manifesta da essere evidente al testimone. Non cadere nella trappola era dunque la molla primitiva della risposta che, tuttavia, la trascende. La trascende in una formulazione che credo dissimuli, mentre rivela, e costringe perciò ad un grosso lavoro interpretativo.
Il lavoro interpretativo è tanto più impegnativo perché investe certo non quel che viene detto, ma anche ciò che su quella base accadrà all’interno della storia del cristianesimo e del rapporto tra il cristianesimo e la politica. Si può infatti aggiungere che non solo ci sono possibili interpretazioni diverse delle frase, ma ci sono stati tempi storici diversi nei quali si sono prodotte interpretazioni diverse.
Tempi diversi rispetto al rapporto tra religione e politica hanno influenzato il prevalere, per quel determinato periodo, di una interpretazione su altre di questa stessa formula così ricca e complessa.
Vi chiedo scusa perché, approfittando dell’amicizia e del luogo, azzarderò, come sentirete, delle cose di cui non mi sento affatto sicuro, anche per la modestia dei miei canoni interpretativi. È davvero l’azzardo di un lettore qualunque, non di chi possiede, in termini approfonditi, l’intelaiatura teologica necessaria.
Proporrei di liberarci subito, lo dico perché faccio questo di mestiere, da un uso troppo corrente della formula, cioè della sua precipitazione hic et nunc nella politica, e in particolare in uno dei suoi aspetti, la questione delle tasse. Penso che i problemi del fisco, delle tasse, non abbiano bisogno per essere risolti nella sfera della politica di ausili esterni, né della fede né del ricorso a Dio. Non c’è bisogno alcuno, per questo versante, della religione. La questione delle tasse è certo una questione fondativa della politica moderna, dai coloni americani si può dire che la questione si è legata a quella così impegnativa della cittadinanza. Per difendere vecchi interessi, antichi e nuovi privilegi, si possono sostenere anche tesi grossolane altrimenti indicibili, ma rimane il fatto che non si dà lo Stato moderno senza una politica delle tasse. Non si dà uno Stato moderno senza lo Stato sociale, senza la costruzione dello Stato sociale e senza un’idea di redistribuzione della ricchezza che si proponga, almeno, di attenuarne le diseguaglianze più impresentabili socialmente e senza che, almeno nelle dichiarazioni, si proponga di lenire, fino a ridurre, eliminare le povertà. Con tutta evidenza, la tassazione è un elemento necessario alla costruzione dello Stato sociale, un elemento di tutela della cittadinanza ed è un elemento di redistribuzione della ricchezza in termini di giustizia e di tutela dei più deboli. Almeno configura una possibilità che così accada.
Come abbiamo imparato nella realtà, per esempio del nostro paese, la tassazione medesima ha invece incorporato un elemento di ingiustizia con cui ha addirittura, essa stessa, aggravato le disuguaglianze. Ma il suo fondamento, ciò che la giustifica socialmente, resta legato a quei due elementi. L’articolo 3 della Costituzione italiana non potrebbe essere stato scritto senza l’assunzione piena di una equa politica fiscale proprio laddove recita che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che si frappongono al libero sviluppo della personalità umana. Liberare lo sviluppo della personalità umana da questi ostacoli vuol dire avere una capacità di intervento anche economico oltre che legislativo in grado di determinare il perseguimento dell’obiettivo. Si potrebbe dire che il terreno delle tasse – così chiudiamo questa breve parte – si configura come un terreno della organizzazione della solidarietà statuale. E vorrei ricordare a questo proposito la brillante formula di padre Marie-Dominique Chenu, che diceva essere la solidarietà un punto di congiunzione tra l’idea di carità (cristiana) e l’idea di eguaglianza (marxiana). Appunto, la solidarietà come cardine della società richiede una determinata politica fiscale, essa stessa coerente con questo assunto e capace sia di intervenire sul terreno del prelievo, su chi pesare e come, sia di intervenire sulla direzione della redistribuzione della ricchezza. Ma, ripeto, su questi problemi francamente non dovremmo scomodare Gesù Cristo.
L’autonomia della politica
Ci sono invece molte altre questioni assai rilevanti che si pongono proprio in rapporto alla politica nella formula che siamo chiamati a discutere. Io penso che siano giuste le cose che ha scritto nella presentazione di questa iniziativa Nino Fasullo. E cioè che, nello sviluppo della tradizione, la fase caratterizzata dall’ispirazione messianica, non solo non comprende l’intera storia delle relazioni tra cristianesimo e politica, ma anzi ne racchiude parti assai limitate. Ciò che la tradizione nel suo sviluppo, dunque in un lungo periodo di tempo, ha fissato nella formula “date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio”, è la qualità stessa della politica moderna, cioè la laicità. Per dirlo un po’ più forzatamente: nella formula c’è il principio fondativo dell’autonomia della politica. Anche nell’autonomia si può avere bisogno dell’altro, come si sa. Ma è un bisogno che si manifesta in termini che non possono mai essere sostitutivi della tua autonoma capacità di darti conto di quello che fai, del suo senso generale e di fondare la progettazione del tuo agire in una sfera autonoma che, se non mi piace chiamare di valori, è certamente di grandi coordinate etiche e politico-programmatiche. La stessa costruzione delle costituzioni moderne nasce così. Il processo costituzionale è l’ambizione della politica a costruire la sua autosufficienza, che, naturalmente, non vuol dire autarchia, non vuol dire incapacità di relazione, di dialogo. Il processo costituente è l’idea che un soggetto, il popolo, conquista la sua sovranità attraverso la costituzione di una propria soggettività, come entità storica, fondata su una determinata idea di organizzazione sociale e civile rispondente, a sua volta, ad un preciso rapporto tra i principi e la prassi. In questo processo costituente la libertà e la responsabilità umane costituiscono le fondamenta della costruzione storica della repubblica, i suoi principi irrevocabili e non sostituibili.
I due poteri
In questo senso penso che l’alta formula di cui discutiamo chiede in primo luogo di non confondere le cose che sono di Cesare con le cose che sono di Dio. E so bene che si può obiettare che non è facile stabilire il confine tra le une e le altre e che neppure si può, per le ragioni prima ricordate, far ricorso ad una cattedra per stabilirlo. E tuttavia si tratta di un “tendere a”, di un disporsi a fare “come se” per determinare, sulle cose di Cesare, una sovranità degli uomini. Riconosco, nella tradizione c’è l’affermazione del tempo lungo contro il tempo breve. Questo è il tempo della secolarizzazione, accettata dallo stesso percorso religioso, anche se, come vediamo bene in moltissime insorgenze attuali, si verifica la tentazione proprio in questo nostro tempo di mettere in discussione questa conquista che si esprime nel moderno. Non vedo niente di buono in questo mettere in discussione l’idea della laicità dello Stato. So che è un’idea che richiede l’accettazione della modestia del tempo lungo a cui non va contrapposta la grandezza, che può farsi esponenzialmente crescente, del tempo dell’avvento, del tempo breve che resta. Fuori da quest’ultimo occorre organizzare una convivenza tra due poteri, due poteri di natura diversa, ma sempre poteri. A meno di non voler ricorrere all’idea attribuita a Stalin secondo cui ci si sarebbe dovuti fare la domanda su quante divisioni disponesse il pontefice. Se si esce dalla rozzezza di questa interpretazione, bisogna pensare necessariamente a due poteri di influenza, e quindi alla costruzione dell’autonomia per evitare un conflitto distruttivo. E come Fasullo ha ricordato correttamente, tra questi due poteri c’è sempre la possibilità del dominio, precisamente del dominio dell’uno sull’altro (e di entrambi sulla persona e sulla società). Oppure si può dare una capacità egemonica, per usare un termine in questo contesto discutibile, che lascierebbe l’apparenza dell’autonomia ma ne corroderebbe la sostanza. E’ possibile, cioè, che si determini una condizione nella quale le apparenze sono quelle della convivenza dei due poteri, ma la sostanza è quella della manomissione dell’uno a vantaggio dell’altro. Nella storia nostra tante volte è accaduto. Penso che questa condizione, quando si determina, sia una perdita per entrambe le sfere.
Le intuizioni di Giovanni XXIII
Credo che il punto più alto che abbiamo conosciuto in questo sviluppo della civiltà dei due, o dei molti, poteri e culture conviventi sia stata la stagione del Concilio Vaticano II. Non mi riferisco soltanto a ciò che ha determinato nell’ecclesia, ma alla stagione tout court. Penso che quello sia stato il punto più alto del dialogo. Non sempre, come sappiamo, la storia procede per evoluzioni, anzi quasi mai. Bisogna arrendersi all’idea che si può arretrare drammaticamente, che gli scacchi che subisce la storia, nel processo di costruzione del progresso sociale e della civiltà, possono essere così rilevanti da indurci ad abbandonare la stessa nozione di progresso come possibilità interpretativa del corso della storia. Il Concilio Vaticano II secondo me è stato il punto più alto di una storia. E lo è stato, scusate se mi addentro in terreni che davvero non mi sono propri, anche di più dal punto di vista di una rottura nella storia della Chiesa e nella costruzione teologica. Non c’è bisogno di essere particolarmente esperti per riconoscere a due intuizioni di Giovanni XXIII il significato di una straordinaria invenzione di futuro, di una geniale invenzione di futuro. Una è la formula degli “uomini di buona volontà”, rottura epistemologica, di linguaggio, di cultura che per la prima volta ci fa toccare con mano l’idea che non ci sono mondi separati tra credenti e non credenti e tra le diverse fedi, ma che invece gli uomini si affratellano secondo la buona volontà. Torneremo poi su questo punto che a me sembra essenziale.
Il secondo elemento è l’ingresso nella teologia della categoria di “popolo”, connesso a quelli degli “uomini di buona volontà”, e la ricostruzione, anzi la considerazione di un popolo, del popolo, come fondamento anche della ricerca di Dio e della fede. Si è posta così una revisione, se posso usare questo termine preso in prestito dalla politica, nella teologia di grandissimo rilievo e si è avviata la fondazione di una teologia politica aperta a un incontro di umanità, nell’orizzonte di un nuovo umanesimo, se si può usare con una formula così mal definita.
In esso il cristiano non si separa, ma si propone come lievito, come sale della costruzione di una nuova umanità. C’è qui una rottura radicale, con ogni propensione integrista e integralista, intendendo per integrismo, nel rapporto interno al fenomeno religioso, quel che gli dà la propensione a ritenere la sua proposta indispensabile al prodursi della buona politica, e per integralismo il comando della religione che viene organizzato sulla politica medesima. C’è una rottura grande su entrambi i terreni. E c’è la promozione, da parte della Chiesa, dell’umano come orizzonte comune, per il credente e per il non credente, in una condizione in cui il fine della promozione umana, fino al suo compimento terreno, può essere il compito degli uomini di buona volontà, sia credenti che non credenti. C’è lì l’idea più alta, secondo me, elaborata dentro la Chiesa cattolica, del rapporto tra fede, religione e politica, ed essa, a sua volta, incontra uno dei punti più alti della politica. Senza che questo determini la statica appartenenza ideologica, la fissità di un modello di trasformazione, penso anch’io come Franco Rodano che la politica ha toccato il suo punto più alto con la nozione di rivoluzione, se per rivoluzione si intende l’assunzione della prospettiva di liberazione delle donne e degli uomini da ogni forma di sfruttamento e di alienazione.
Il balzo di tigre
Capisco che con ciò la politica, anch’essa, si espone alla possibilità del passaggio dal tempo lungo al tempo breve. Nel momento in cui la politica si porta su questo terreno, che è quello della sua più grande ambizione, che è appunto la rivoluzione, anch’essa entra in contatto con un orizzonte escatologico. E anch’essa può interpretarsi non più secondo i tempi e il ritmo del tempo che scorre, bensì sulla base dell’attesa del tempo che resta, del tempo che resta all’avvento rivoluzionario. Proprio su questo Walter Benjamin scrive le sue pagine più travolgenti, secondo me assolutamente straordinarie nella storia del pensiero. Nelle sue famose tesi l’elemento messianico torna costantemente come un punto di svolta. In esso si colloca ciò che chiama il “balzo di tigre”, cioè quel tornare indietro sui punti, sugli snodi della storia, dove gli uomini che volevano un destino diverso hanno perso per ritrovare nella storia dei vinti i brandelli possibili di un futuro. Ricordate bene l’immagine così intensa di quell’angelo, l’ Angelus Novus , che viene sospinto dai venti della storia del progresso in avanti, mentre il volto si torce a vedere le macerie di cui è disseminata la storia dell’umanità. Bene, lì c’è tutta la più grande esposizione a un tempo difficile e cruciale. Riconosco che persino in Karl Marx, che ha posto il tema nella storia moderna, questo problema è irrisolto. Nel senso che ci sono due Marx (come in tutti i grandi, di possibili letture ce ne sono sempre almeno due). Ce n’è uno, quello maturo, quello del Capitale , quello dei Gründisse , che ha ben presente il limite della politica. La sua concezione della rivoluzione non è rivolta alla fine della storia, non è la creazione di un ordine altro fuori dalla storia e di un uomo nuovo totalmente altro da quello che abbiamo fin qui conosciuto. Un’idea prometeica che invece c’è nel Marx giovane, in alcuni passi del Marx giovane, in cui sembra che la politica si configuri come una potenza illimitata, ponendosi così al confine con certe ispirazioni presenti nella teologia politica, quasi proponendo una liberazione che pone l’uomo fuori della storia. Nella versione maturata sulla critica allo sfruttamento e all’alienazione dell’uomo nel capitalismo, nella secolarizzazione della ipotesi di Marx in lotta di classe, nella versione secondo cui la politica alta è quella della rivoluzione, quella che rimuove la causa, il capitalismo che impedisce lo sviluppo della personalità umana, (una concezione che quindi ha presente il confine nella storia e il limite dell’uomo), in quella concezione che assegna alla rivoluzione il compito storico di eliminare la causa dello sfruttamento c’è la possibilità di incontrare precisamente quella teologia politica rivista, di cui parlavo riferendomi al Concilio e a Giovanni XXIII, che non casualmente proclama che il più grande peccato dell’umanità è “lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”.
La teologia di Paolo
Queste convergenze, pur nell’autonomia delle sfere, possono configurare un’idea della laicità che a me sembra quella più alta e più adeguata di quella della semplice separazione delle sfere. Un’idea che andrebbe riproposta o, almeno, reindagata. Secondo questa concezione, la politica può svolgere da sola il suo compito, anche quello più alto, quello della promozione dell’umano. A questo stesso compito possono concorrere, come lievito e sale, fedi e religioni che, al di là del compimento di questo compito storico e mondano, trovano il loro cammino proprio proponendo all’umanità la liberazione trascendente e definitiva dell’uomo dal peccato nell’incontro con Dio. Su questo limite comincia un’interrogazione su cui finisco il mio intervento, e che mi affascina molto. Il Paolo di cui qui si parlava è interno alla esegesi, alla lettura che qui dibattiamo del “date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”, oppure va oltre? La teologia politica di san Paolo, specie quella che emerge nella Lettera ai Romani, credo vada al di là di ciò che pure concorre a determinare, cioè, la migliore delle letture della formula del Cristo. È sulla base di questa ispirazione che lavora a rimuovere, intervenendo sulla causazione ideale, le basi dell’antropologia signorile, per metterle in discussione fin nelle sue fondamenta.
C’è un sovrappiù, credo, rispetto alla formula “date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio”, c’è qualcosa che lì non è compreso. Quando nel tempo lungo della storia e nella dimensione del nostro vivere quotidiano, dunque anche nella povertà oltre che nella grandezza dell’ambizione di questo essere umano, si fa strada la dimensione messianica ed escatologica, e il tempo che resta prende il posto del tempo che passa, allora la teologia politica di Paolo si colloca contro Cesare, la sua teologia politica si erge contro Cesare. Jacob Taubes dice a questo proposito, secondo me, delle cose molto convincenti. Mi appello a un’autorità per dare forza alla tesi che sostengo, me ne scuso, però Taubes dice cose davvero molto convincenti. La teologia di Paolo è contro la legge. Siccome spesso viene usata contro questa interpretazione del suo pensiero, il realismo di Paolo, debbo dire che l’osservazione non mi sembra efficace. Quando ci si riferisce alla lettera con cui Paolo dice del ritorno dello schiavo alla sua condizione: non si può non vedere l’essenziale, la già citata demolizione della sua legittimazione. C’è la questione della mancata sollecitazione alla rivolta contro l’impero romano. Secondo me c’è una risposta molto convincente che spiega questo atteggiamento, che non è per nulla, come diremmo oggi con il linguaggio della politica, opportunistico. Se uno ritiene che l’apocalisse è prossima, che l’ora della verità si avvicina, se il tempo che resta è breve, perché dovrebbe impicciarsi dell’impero romano? Perché dovrebbe perdere il suo tempo, che è breve, a occuparsi di una cosa così circoscritta e mondana quando il problema che si pone drammaticamente e con urgenza spasmodica è quello della liberazione dell’uomo dall’alienazione originale, non dall’alienazione congiunturale, storica, definita, bensì da quella primigenia e fondativa? Del resto l’universalità e la storicità di Paolo c’è pure, la vedo anch’io, ma passa per il crocifisso, e non anche, ma interamente e solo per il crocifisso.
Quando Paolo di Tarso dice che il nomos non è l’imperatore ma chi è crocifisso, non alza una temperata critica alla legge, propone il rovesciamento del paradigma della legge. La legge non è più l’imperatore ma il crocifisso: è la fuoriuscita dall’imperatore e dalla legge. Non ci potrebbe essere rovesciamento più radicale. Ed è con questo rovesciamento, che diversamente da Mosè, il quale accetta la continuità del popolo ebraico, che Paolo rompe con essa e fonda l’idea della costruzione del nuovo popolo. Perché sceglie il Cristo risorto piuttosto che l’insorgere contro il malvagio impero romano. C’è lì una scelta di fondo, che non è né una scorciatoia né un approccio opportunistico. Ma allora qui, secondo me, possiamo vedere una diversità, non col messaggio evangelico di Cristo, ma tra la formula “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” e questa lettura paolina. C’è, a me pare, una differenza. Il “date a Cesare quel che è di Cesare”, secondo me, non casualmente, semina i germi che danno luogo alla migliore tradizione del rapporto, nella storia, tra la religione e la politica ai tempi lunghi, alla laicità. Laddove la formula, la teologia politica di Paolo propone l’irruzione nella storia del momento messianico come rottura e lacerazione della storia medesima, come sradicamento da quella storia e come precipitazione apocalittica nella sua versione di attesa dell’evento e della resurrezione. E così si propone una comunità terza che è fuori dalla comunità etnica del popolo ebraico ma è fuori anche dall’ordinamento giuridico romano. Si tratta, secondo me, lo ripeto ancora per dare concreto senso del mio limite di conoscenza, di una teologia politica negativa. Negativa non vuol dire che porta con sé un segno di negatività. Teologia negativa nel senso di essere portatrice della contestazione che scardina ogni ordine terreno, che mina la funzione della legge come ordinamento politico ed ecclesiastico naturale, perché nega in principio la legge in quanto ordinamento, perché la parola messianica, la sospensione del tempo storico, prende il posto della storia. Il “date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio”, che è anche la maliziosa risposta di un uomo che prima di risorgere viveva totalmente la sua umanità, viene superata dalla crocifissione che può dar luogo anche al superamento di quella formula in una teologia politica contro i Cesari, cioè contro tutti i poteri.
Fonti: liberazione.it; uaar.it
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Fausto Bertinotti,
Filosofia Politica,
Religione
Oltre 153.000 euro al mese il costo per ciascun deputato
Mentre le persone oneste, cioè quelle che lavorano ogni giorno, fanno fatica a sbarcare il lunario e arrivare a fine mese, i ladroni di regime si portano a casa uno stipendio mensile di oltre 46.000 euro! Se a questa cifra aggiungiamo la pensione, l'indennità di carica, il finanziamento ai partiti, ecc. le spese raggiungono e superano i 150.000 euro ogni mese! Soldi ovviamente che vengono prelevati direttamente dalle nostre già misere tasche.
Con uno stipendio simile (oltre 46.000 euro al mese, circa 90 milioni al mese) secondo voi gli possono interessare i problemi della povera gente?
Mediaticamente, destra e sinistra si scannano, ma la realtà è ben diversa: non esiste la destra e la sinistra perché appartengono TUTTI alla medesima associazione a delinquere di stampo criminogeno!
Totale complessivo = 46.510.198 al mese per ciascun deputato, cui vanno aggiunti:
- Pensione mensile (diritto che acquisiscono dopo 35 mesi in parlamento, mentre obbligano i cittadini a 35 anni): da 4.762.669 fino a oltre 15.000.000
- Indennità di carica: da 650.000 a 12.500.000
- Finanziamento ai partiti (in violazione alla legge sul finanziamento ai partiti e relativo referendum): 1.414.000.000 al giorno
- Rimborso spese elettorali: 200.000.000
- Rimborso annuale se fondano un giornale: 50.000.000
- Auto blu e scorta 24-ore-su-24 vita-natural-durante per chi è stato presidente della Camera (anche se non si occupa più di politica, come ad es. la sig.ra Pivetti)
Risultato:
- Ogni deputato costa (all'anno) la faraonica cifra di 297.000.000, al mese circa 153.388 euro (per 15 mensilità) [...] .
- La sola camera dei deputati costa al cittadino 4.289.968 al minuto.
- Sono finora costati 2.245 miliardi (in base a quanto hanno dichiarato).
Fonte: http://www.disinformazione.it/stipendiodeputati.htm
Con uno stipendio simile (oltre 46.000 euro al mese, circa 90 milioni al mese) secondo voi gli possono interessare i problemi della povera gente?
Mediaticamente, destra e sinistra si scannano, ma la realtà è ben diversa: non esiste la destra e la sinistra perché appartengono TUTTI alla medesima associazione a delinquere di stampo criminogeno!
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Oltre 153.000 euro al mese per
ciascun deputato
Per gentile concessione di Bruno Aprile, Vimercate (MI)
Dati estrapolati da www.camera.it
Per gentile concessione di Bruno Aprile, Vimercate (MI)
Dati estrapolati da www.camera.it
Indennità parlamentare |
19.855.289
|
Indennità d'ufficio |
809.415
|
Altre indennità |
9.259
|
Rimborso spese di viaggio |
2.013.228
|
Rimborso spese di soggiorno |
5.450.175
|
Rimborso spese segreteria e rappresentanza |
8.835.979
|
TOTALE
|
36.993.345
|
Inoltre:
|
|
Telefonia mobile (cellulari) |
126.984
|
Alimentari |
396.334
|
Biancheria |
3.552
|
Carburanti e lubrificanti |
20.402
|
Combustibili |
39.683
|
Prodotti igienici, farmaci e sanità |
26.456
|
Altri servizi |
529.101
|
Stoviglie e vestiario |
29.101
|
Altri beni di consumo |
39.683
|
Trasporti aerei |
1.124.339
|
Pedaggi autostradali |
284.392
|
Contributi fondo solidarietà deputati |
1.322.751
|
Stampa pubblicazioni |
119.048
|
Assicurazioni sulla vita ed infortunio |
357.143
|
Assicurazione R.C. |
55.556
|
Assicurazione R.C.A. |
6.614
|
Noleggi |
892.857
|
Parcheggi |
129.630
|
Ristorazione |
357.143
|
Accertamenti diagnostici |
1.323
|
Spese di rappresentanza |
25.026
|
Trasporti ferroviari |
456.349
|
Contributi per il funzionamento del gruppi |
2.685.185
|
Spese postali |
308.201
|
TOTALE
|
9.516.853
|
Per non parlare di:
|
|
Tribuna d'onore negli stadi |
gratis
|
Tessera del cinema |
gratis
|
Tessera teatro |
gratis
|
Tessera autobus/metropolitana |
gratis
|
Francobolli |
gratis
|
Viaggi aereo nazionali |
gratis
|
Viaggi treno carrozza letto |
gratis
|
Circolazione autostrade |
gratis
|
Corso lingua straniera |
gratis
|
Piscine e palestre |
gratis
|
Vagone rappresentanza delle FS |
gratis
|
Aereo di stato |
gratis
|
Uso di prefetture ed ambasciate |
gratis
|
Cliniche |
gratis
|
Rimborso spese mediche |
gratis
|
Assicurazione infortuni |
gratis
|
Assicurazione in caso di morte |
gratis
|
Auto blu con autista |
gratis
|
Giornali |
gratis
|
Ristorante |
gratis
|
Totale complessivo = 46.510.198 al mese per ciascun deputato, cui vanno aggiunti:
- Pensione mensile (diritto che acquisiscono dopo 35 mesi in parlamento, mentre obbligano i cittadini a 35 anni): da 4.762.669 fino a oltre 15.000.000
- Indennità di carica: da 650.000 a 12.500.000
- Finanziamento ai partiti (in violazione alla legge sul finanziamento ai partiti e relativo referendum): 1.414.000.000 al giorno
- Rimborso spese elettorali: 200.000.000
- Rimborso annuale se fondano un giornale: 50.000.000
- Auto blu e scorta 24-ore-su-24 vita-natural-durante per chi è stato presidente della Camera (anche se non si occupa più di politica, come ad es. la sig.ra Pivetti)
Risultato:
- Ogni deputato costa (all'anno) la faraonica cifra di 297.000.000, al mese circa 153.388 euro (per 15 mensilità) [...] .
- La sola camera dei deputati costa al cittadino 4.289.968 al minuto.
- Sono finora costati 2.245 miliardi (in base a quanto hanno dichiarato).
Fonte: http://www.disinformazione.it/stipendiodeputati.htm
lunedì 28 luglio 2014
Olocausto infantile
Bambini che giocano sulla spiaggia scambiati per combattenti Hamas...?!? Ma a chi volete darla a bere?
venerdì 25 luglio 2014
mercoledì 23 luglio 2014
Artículo de Fidel: Es hora de conocer un poco más la realidad
Por: Fidel Castro Ruz - 22 julio 2014.
He rogado a los editores de Granma me exoneren en esta ocasión del honor de publicar lo que voy a escribir en la primera página del órgano oficial de nuestro Partido, pues pienso expresar puntos de vista personales sobre temas que, por conocidas razones de salud y de tiempo, no he podido plantear en los órganos colectivos de dirección del Partido y del Estado, como los Congresos del Partido, o las reuniones pertinentes de la Asamblea Nacional del Poder Popular.
En nuestra época los problemas son cada vez más complejos y las noticias se propagan a la velocidad de la luz, como muchos conocen. Nada ocurre hoy en nuestro mundo, que no nos enseñe algo a los que deseamos y somos capaces todavía de comprender nuevas realidades.
El ser humano es una extraña mezcla de instintos ciegos por un lado y de conciencias por el otro.
Somos animales políticos, como no sin razón afirmó Aristóteles, que quizás influyó más que ningún otro filósofo de la antigüedad en el pensamiento de la humanidad a través de casi 200 tratados, según se afirma, de los cuales se conservaron solo 31. Su maestro fue Platón, quien legó para la posteridad su famosa utopía sobre el Estado Ideal, que en Siracusa, donde trató de aplicarlo, casi le cuesta la vida. Su Teoría Política quedó como apelativo para calificar las ideas como malas o buenas. Los reaccionarios la utilizaron para calificar tanto a Marx, como a Lenin, de teóricos, sin tomar para nada en cuenta que sus utopías inspiraron a Rusia y a China, los dos países llamados a encabezar un mundo nuevo que permitiría la supervivencia humana si el imperialismo no desata antes una criminal y exterminadora guerra.
La Unión Soviética, el Campo Socialista, la República Popular China y Corea del Norte, nos ayudaron a resistir con suministros esenciales y armas, el bloqueo económico implacable de Estados Unidos, el imperio más poderoso que jamás existió. A pesar de su inmenso poder, no pudo aplastar al pequeño país que a pocas millas de sus costas ha resistido durante más de medio siglo las amenazas, los ataques piratas, secuestros de barcos pesqueros y hundimientos de buques mercantes, destrucción en pleno vuelo del avión de Cubana de Aviación en Barbados, incendio de escuelas y otras fechorías similares. Cuando intentó invadir nuestro país con fuerzas mercenarias a la vanguardia, transportadas en buques de guerra de Estados Unidos como primer escalón, fue derrotado en menos de 72 horas. Más tarde las bandas contrarrevolucionarias, organizadas y equipadas por ellos, cometieron hechos vandálicos que dieron lugar a la pérdida de la vida o la integridad física de millares de compatriotas.
En el estado de la Florida se ubicó la más grande base de actividades contra otro país que existía en aquel momento. Con el curso del tiempo el bloqueo económico se extendió a los países de la OTAN y otros muchos aliados de América Latina, que fueron durante los primeros años cómplices de la criminal política del imperio, que hizo trizas los sueños de Bolívar, Martí y cientos de grandes patriotas de irreductible conducta revolucionaria en América Latina.
A nuestro pequeño país, no solo se le negaba su derecho a ser una nación independiente como a cualquier otro de los numerosos Estados de América Latina y el Caribe, explotados y saqueados por ellos, sino el derecho a la independencia de nuestra Patria que sería totalmente despojado, cuando el destino manifiesto cumplimentara su tarea de anexar nuestra isla al territorio de Estados Unidos de Norteamérica.
En la recién concluida reunión de Fortaleza se aprobó una importante Declaración entre los países que integran el grupo BRICS.
Los BRICS proponen una mayor coordinación macroeconómica entre las principales economías, en particular en el G-20, como un factor fundamental para el fortalecimiento de las perspectivas de una recuperación efectiva y sostenible en todo el mundo.
Anunciaron la firma del Acuerdo constitutivo del Nuevo Banco de Desarrollo, con el fin de movilizar recursos para proyectos de infraestructura y de desarrollo sostenible de los países BRICS y otras economías emergentes y en desarrollo.
El Banco tendrá un capital inicial autorizado de 100 mil millones de dólares. El capital inicial suscrito será de 50 mil millones de dólares, a partes iguales entre los miembros fundadores. El primer presidente de la Junta de Gobernadores será de Rusia. El primer presidente del Consejo de Administración será de Brasil. El primer Presidente del Banco será de la India. La sede del Banco será en Shanghai.
Anunciaron también la firma de un Tratado para el establecimiento de un Fondo Común de Reservas de Divisas para situaciones de contingencia, con un tamaño inicial de 100 mil millones de dólares.
Reafirma el apoyo a un sistema multilateral de comercio abierto, transparente, inclusivo y no discriminatorio; así como a la conclusión exitosa de la Ronda de Doha de la Organización Mundial del Comercio (OMC).
Reconocen el importante papel que las empresas estatales desempeñan en la economía; así como el de las pequeñas y medianas empresas como creadores de empleo y riqueza.
Reafirman la necesidad de una reforma integral de las Naciones Unidas, incluido su Consejo de Seguridad, con el fin de hacerlo más representativo, eficaz y eficiente, de manera que pueda responder adecuadamente a los desafíos globales.
Reiteraron su condena del terrorismo en todas sus formas y manifestaciones, dondequiera que ocurra; y expresaron preocupación por la continua amenaza del terrorismo y el extremismo en Siria, a la vez que llamaron a todas las partes sirias a que se comprometan a poner fin a los actos terroristas perpetrados por Al-Qaeda, sus afiliados y otras organizaciones terroristas.
Condenaron enérgicamente el uso de armas químicas en cualquier circunstancia; y dieron la bienvenida a la decisión de la República Árabe Siria de adherirse a la Convención sobre Armas Químicas.
Reafirmaron el compromiso de contribuir a una justa y duradera solución global del conflicto árabe-israelí sobre la base del marco legal internacional universalmente reconocido, incluyendo las resoluciones pertinentes de las Naciones Unidas, los Principios de Madrid y la Iniciativa de Paz Árabe; y expresaron apoyo a la convocatoria, en la fecha más temprana posible, de la Conferencia sobre el establecimiento de una zona de Oriente Medio libre de armas nucleares y otras armas de destrucción masiva.
Reafirmaron la voluntad de que la exploración y utilización del espacio ultraterrestre deberán ser para fines pacíficos.
Reiteraron que no hay alternativa a una solución negociada a la cuestión nuclear iraní, y reafirmaron apoyo a su solución a través de medios políticos y diplomáticos.
Expresaron preocupación por la situación en Irak y apoyaron al gobierno iraquí en sus esfuerzos por superar la crisis, defender la soberanía nacional y la integridad territorial.
Expresaron preocupación por la situación en Ucrania e hicieron un llamamiento para un diálogo amplio, la disminución del conflicto y la moderación de todos los actores involucrados, con el fin de encontrar una solución política pacífica.
Reiteraron la firme condena al terrorismo en todas sus formas y manifestaciones. Señalaron que las Naciones Unidas tienen un papel central en la coordinación de la acción internacional contra el terrorismo, que debe llevarse a cabo de conformidad con el derecho internacional, incluida la Carta de las Naciones Unidas, y con respeto a los derechos humanos y las libertades fundamentales.
Reconocieron que el cambio climático es uno de los mayores desafíos que enfrenta la humanidad, e hicieron un llamamiento a todos los países a construir sobre las decisiones adoptadas en la Convención Marco de Naciones Unidas sobre el Cambio Climático (CMNUCC), con miras a llegar a una conclusión exitosa para el año 2015, de las negociaciones en el desarrollo de un protocolo, otro instrumento legal o un resultado acordado con fuerza legal bajo la Convención es aplicable a todas las Partes, de conformidad con los principios y disposiciones de la CMNUCC, en particular el principio de las responsabilidades comunes pero diferenciadas y sus respectivas capacidades.
Expresaron la importancia estratégica de la educación para el desarrollo sostenible y el crecimiento económico inclusivo; así como destacaron el vínculo entre la cultura y el desarrollo sostenible.
La próxima Cumbre de los BRICS será en Rusia, en julio del 2015.
Pareciera que se trata de un acuerdo más de entre los muchos que aparecen constantemente en los despachos cablegráficos de las principales agencias occidentales de prensa. Sin embargo, el significado es claro y rotundo: La América Latina es el área geográfica del mundo donde Estados Unidos ha impuesto el sistema más desigual del planeta al disfrute de sus riquezas internas, el suministro de materias primas baratas, comprador de sus mercancías y el depositante privilegiado de su oro y sus fondos que escapan de sus respectivos países y son invertidos por las compañías norteamericanas en el país o en cualquier lugar del mundo.
Nadie encontró nunca una respuesta capaz de satisfacer las exigencias del mercado real que hoy conocemos, pero tampoco podría dudarse de que la humanidad marcha hacia una etapa más justa de lo que hasta nuestros tiempos ha sido la sociedad humana.
Repugnan los abusos cometidos a lo largo de la historia. Hoy lo que se valora es lo que sucederá en nuestro planeta globalizado en un futuro próximo. Cómo podrían escapar los seres humanos de la ignorancia, la carencia de recursos elementales para alimento, salud, educación, vivienda, empleo decoroso, seguridad y remuneración justa. Lo que es más importante, si será esto o no posible, en este minúsculo rincón del Universo. Si meditar sobre esto sirve de algo, será para garantizar en realidad la supremacía del ser humano.
Por mi parte, no albergo la menor duda de que cuando el Presidente Xi Jinping culmine las actividades para cumplimentar su gira en este hemisferio, al igual que el Presidente de la Federación Rusa, Vladímir Putin, ambos países estarán culminando una de las proezas más grandes de la historia humana.
En la Declaración de los BRICS, aprobada el 15 de julio de 2014 en Fortaleza, se aboga por una mayor participación de otros países, especialmente los que luchan por su desarrollo con miras a fomentar la cooperación y la solidaridad con los pueblos y de modo particular con los de América del Sur, se señala en un significativo párrafo que los BRICS reconocen en particular la importancia de la Unión de Naciones Suramericanas (UNASUR) en la promoción de la paz y la democracia en la región y en el logro del desarrollo sostenible y la erradicación de la pobreza.
He sido ya bastante extenso a pesar de que la amplitud e importancia del tema demandaban el análisis de importantes cuestiones que requerían alguna réplica.
Pensaba que en los días subsiguientes habría un poco más de análisis serio sobre la importancia de la Cumbre de los BRICS. Bastaría sumar los habitantes de Brasil, Rusia, India, China y Sudáfrica para comprender que suman en este momento la mitad de la población mundial. En pocas décadas el Producto Interno Bruto de China superará al de Estados Unidos; ya muchos Estados solicitan yuanes y no dólares, no solo Brasil sino varios de los más importantes de América Latina, cuyos productos como la soya y el maíz compiten con los de norteamérica. El aporte que Rusia y China pueden hacer en la ciencia, la tecnología y el desarrollo económico de Suramérica y el Caribe es decisivo.
Los grandes acontecimientos de la historia no se forjan en un día. Enormes pruebas y desafíos de creciente complejidad se vislumbran en el horizonte. Entre China y Venezuela se firmaron 38 acuerdos de cooperación. Es hora de conocer un poco más las realidades.Fidel Castro Ruz
Julio 21 de 2014
10 y 15 p.m.
http://www.cubadebate.cu/noticias/2014/07/22/articulo-de-fidel-es-hora-de-conocer-un-poco-mas-la-realidad
He rogado a los editores de Granma me exoneren en esta ocasión del honor de publicar lo que voy a escribir en la primera página del órgano oficial de nuestro Partido, pues pienso expresar puntos de vista personales sobre temas que, por conocidas razones de salud y de tiempo, no he podido plantear en los órganos colectivos de dirección del Partido y del Estado, como los Congresos del Partido, o las reuniones pertinentes de la Asamblea Nacional del Poder Popular.
En nuestra época los problemas son cada vez más complejos y las noticias se propagan a la velocidad de la luz, como muchos conocen. Nada ocurre hoy en nuestro mundo, que no nos enseñe algo a los que deseamos y somos capaces todavía de comprender nuevas realidades.
El ser humano es una extraña mezcla de instintos ciegos por un lado y de conciencias por el otro.
Somos animales políticos, como no sin razón afirmó Aristóteles, que quizás influyó más que ningún otro filósofo de la antigüedad en el pensamiento de la humanidad a través de casi 200 tratados, según se afirma, de los cuales se conservaron solo 31. Su maestro fue Platón, quien legó para la posteridad su famosa utopía sobre el Estado Ideal, que en Siracusa, donde trató de aplicarlo, casi le cuesta la vida. Su Teoría Política quedó como apelativo para calificar las ideas como malas o buenas. Los reaccionarios la utilizaron para calificar tanto a Marx, como a Lenin, de teóricos, sin tomar para nada en cuenta que sus utopías inspiraron a Rusia y a China, los dos países llamados a encabezar un mundo nuevo que permitiría la supervivencia humana si el imperialismo no desata antes una criminal y exterminadora guerra.
La Unión Soviética, el Campo Socialista, la República Popular China y Corea del Norte, nos ayudaron a resistir con suministros esenciales y armas, el bloqueo económico implacable de Estados Unidos, el imperio más poderoso que jamás existió. A pesar de su inmenso poder, no pudo aplastar al pequeño país que a pocas millas de sus costas ha resistido durante más de medio siglo las amenazas, los ataques piratas, secuestros de barcos pesqueros y hundimientos de buques mercantes, destrucción en pleno vuelo del avión de Cubana de Aviación en Barbados, incendio de escuelas y otras fechorías similares. Cuando intentó invadir nuestro país con fuerzas mercenarias a la vanguardia, transportadas en buques de guerra de Estados Unidos como primer escalón, fue derrotado en menos de 72 horas. Más tarde las bandas contrarrevolucionarias, organizadas y equipadas por ellos, cometieron hechos vandálicos que dieron lugar a la pérdida de la vida o la integridad física de millares de compatriotas.
En el estado de la Florida se ubicó la más grande base de actividades contra otro país que existía en aquel momento. Con el curso del tiempo el bloqueo económico se extendió a los países de la OTAN y otros muchos aliados de América Latina, que fueron durante los primeros años cómplices de la criminal política del imperio, que hizo trizas los sueños de Bolívar, Martí y cientos de grandes patriotas de irreductible conducta revolucionaria en América Latina.
A nuestro pequeño país, no solo se le negaba su derecho a ser una nación independiente como a cualquier otro de los numerosos Estados de América Latina y el Caribe, explotados y saqueados por ellos, sino el derecho a la independencia de nuestra Patria que sería totalmente despojado, cuando el destino manifiesto cumplimentara su tarea de anexar nuestra isla al territorio de Estados Unidos de Norteamérica.
En la recién concluida reunión de Fortaleza se aprobó una importante Declaración entre los países que integran el grupo BRICS.
Los BRICS proponen una mayor coordinación macroeconómica entre las principales economías, en particular en el G-20, como un factor fundamental para el fortalecimiento de las perspectivas de una recuperación efectiva y sostenible en todo el mundo.
Anunciaron la firma del Acuerdo constitutivo del Nuevo Banco de Desarrollo, con el fin de movilizar recursos para proyectos de infraestructura y de desarrollo sostenible de los países BRICS y otras economías emergentes y en desarrollo.
El Banco tendrá un capital inicial autorizado de 100 mil millones de dólares. El capital inicial suscrito será de 50 mil millones de dólares, a partes iguales entre los miembros fundadores. El primer presidente de la Junta de Gobernadores será de Rusia. El primer presidente del Consejo de Administración será de Brasil. El primer Presidente del Banco será de la India. La sede del Banco será en Shanghai.
Anunciaron también la firma de un Tratado para el establecimiento de un Fondo Común de Reservas de Divisas para situaciones de contingencia, con un tamaño inicial de 100 mil millones de dólares.
Reafirma el apoyo a un sistema multilateral de comercio abierto, transparente, inclusivo y no discriminatorio; así como a la conclusión exitosa de la Ronda de Doha de la Organización Mundial del Comercio (OMC).
Reconocen el importante papel que las empresas estatales desempeñan en la economía; así como el de las pequeñas y medianas empresas como creadores de empleo y riqueza.
Reafirman la necesidad de una reforma integral de las Naciones Unidas, incluido su Consejo de Seguridad, con el fin de hacerlo más representativo, eficaz y eficiente, de manera que pueda responder adecuadamente a los desafíos globales.
Reiteraron su condena del terrorismo en todas sus formas y manifestaciones, dondequiera que ocurra; y expresaron preocupación por la continua amenaza del terrorismo y el extremismo en Siria, a la vez que llamaron a todas las partes sirias a que se comprometan a poner fin a los actos terroristas perpetrados por Al-Qaeda, sus afiliados y otras organizaciones terroristas.
Condenaron enérgicamente el uso de armas químicas en cualquier circunstancia; y dieron la bienvenida a la decisión de la República Árabe Siria de adherirse a la Convención sobre Armas Químicas.
Reafirmaron el compromiso de contribuir a una justa y duradera solución global del conflicto árabe-israelí sobre la base del marco legal internacional universalmente reconocido, incluyendo las resoluciones pertinentes de las Naciones Unidas, los Principios de Madrid y la Iniciativa de Paz Árabe; y expresaron apoyo a la convocatoria, en la fecha más temprana posible, de la Conferencia sobre el establecimiento de una zona de Oriente Medio libre de armas nucleares y otras armas de destrucción masiva.
Reafirmaron la voluntad de que la exploración y utilización del espacio ultraterrestre deberán ser para fines pacíficos.
Reiteraron que no hay alternativa a una solución negociada a la cuestión nuclear iraní, y reafirmaron apoyo a su solución a través de medios políticos y diplomáticos.
Expresaron preocupación por la situación en Irak y apoyaron al gobierno iraquí en sus esfuerzos por superar la crisis, defender la soberanía nacional y la integridad territorial.
Expresaron preocupación por la situación en Ucrania e hicieron un llamamiento para un diálogo amplio, la disminución del conflicto y la moderación de todos los actores involucrados, con el fin de encontrar una solución política pacífica.
Reiteraron la firme condena al terrorismo en todas sus formas y manifestaciones. Señalaron que las Naciones Unidas tienen un papel central en la coordinación de la acción internacional contra el terrorismo, que debe llevarse a cabo de conformidad con el derecho internacional, incluida la Carta de las Naciones Unidas, y con respeto a los derechos humanos y las libertades fundamentales.
Reconocieron que el cambio climático es uno de los mayores desafíos que enfrenta la humanidad, e hicieron un llamamiento a todos los países a construir sobre las decisiones adoptadas en la Convención Marco de Naciones Unidas sobre el Cambio Climático (CMNUCC), con miras a llegar a una conclusión exitosa para el año 2015, de las negociaciones en el desarrollo de un protocolo, otro instrumento legal o un resultado acordado con fuerza legal bajo la Convención es aplicable a todas las Partes, de conformidad con los principios y disposiciones de la CMNUCC, en particular el principio de las responsabilidades comunes pero diferenciadas y sus respectivas capacidades.
Expresaron la importancia estratégica de la educación para el desarrollo sostenible y el crecimiento económico inclusivo; así como destacaron el vínculo entre la cultura y el desarrollo sostenible.
La próxima Cumbre de los BRICS será en Rusia, en julio del 2015.
Pareciera que se trata de un acuerdo más de entre los muchos que aparecen constantemente en los despachos cablegráficos de las principales agencias occidentales de prensa. Sin embargo, el significado es claro y rotundo: La América Latina es el área geográfica del mundo donde Estados Unidos ha impuesto el sistema más desigual del planeta al disfrute de sus riquezas internas, el suministro de materias primas baratas, comprador de sus mercancías y el depositante privilegiado de su oro y sus fondos que escapan de sus respectivos países y son invertidos por las compañías norteamericanas en el país o en cualquier lugar del mundo.
Nadie encontró nunca una respuesta capaz de satisfacer las exigencias del mercado real que hoy conocemos, pero tampoco podría dudarse de que la humanidad marcha hacia una etapa más justa de lo que hasta nuestros tiempos ha sido la sociedad humana.
Repugnan los abusos cometidos a lo largo de la historia. Hoy lo que se valora es lo que sucederá en nuestro planeta globalizado en un futuro próximo. Cómo podrían escapar los seres humanos de la ignorancia, la carencia de recursos elementales para alimento, salud, educación, vivienda, empleo decoroso, seguridad y remuneración justa. Lo que es más importante, si será esto o no posible, en este minúsculo rincón del Universo. Si meditar sobre esto sirve de algo, será para garantizar en realidad la supremacía del ser humano.
Por mi parte, no albergo la menor duda de que cuando el Presidente Xi Jinping culmine las actividades para cumplimentar su gira en este hemisferio, al igual que el Presidente de la Federación Rusa, Vladímir Putin, ambos países estarán culminando una de las proezas más grandes de la historia humana.
En la Declaración de los BRICS, aprobada el 15 de julio de 2014 en Fortaleza, se aboga por una mayor participación de otros países, especialmente los que luchan por su desarrollo con miras a fomentar la cooperación y la solidaridad con los pueblos y de modo particular con los de América del Sur, se señala en un significativo párrafo que los BRICS reconocen en particular la importancia de la Unión de Naciones Suramericanas (UNASUR) en la promoción de la paz y la democracia en la región y en el logro del desarrollo sostenible y la erradicación de la pobreza.
He sido ya bastante extenso a pesar de que la amplitud e importancia del tema demandaban el análisis de importantes cuestiones que requerían alguna réplica.
Pensaba que en los días subsiguientes habría un poco más de análisis serio sobre la importancia de la Cumbre de los BRICS. Bastaría sumar los habitantes de Brasil, Rusia, India, China y Sudáfrica para comprender que suman en este momento la mitad de la población mundial. En pocas décadas el Producto Interno Bruto de China superará al de Estados Unidos; ya muchos Estados solicitan yuanes y no dólares, no solo Brasil sino varios de los más importantes de América Latina, cuyos productos como la soya y el maíz compiten con los de norteamérica. El aporte que Rusia y China pueden hacer en la ciencia, la tecnología y el desarrollo económico de Suramérica y el Caribe es decisivo.
Los grandes acontecimientos de la historia no se forjan en un día. Enormes pruebas y desafíos de creciente complejidad se vislumbran en el horizonte. Entre China y Venezuela se firmaron 38 acuerdos de cooperación. Es hora de conocer un poco más las realidades.Fidel Castro Ruz
Julio 21 de 2014
10 y 15 p.m.
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martedì 22 luglio 2014
Putin firmó ley que condona 90% de la deuda de Cuba
El presidente ruso promulgó el texto legal que libera a la isla de los compromisos financieros contraídos en la época soviética. El monto supera los 35.000 millones de dólares.
Moscú.- El presidente ruso, Vladímir Putin, ha promulgado la ley que condona el 90% de la deuda cubana contraída en la época soviética, informó el Kremlin.
La deuda de la Habana supera los 35.000 millones de dólares, de cuyo monto total Cuba deberá saldar un 10 por ciento durante los próximos 10 años mediante 20 pagos semestrales.
Putin había afirmado que ese 10 por ciento será invertido en distintos proyectos ruso-cubanos.
La propuesta de ley para condonar la deuda cubana fue aprobada por la Duma Estatal (Cámara de diputados) el pasado 4 de julio y luego ratificada por Consejo de la Federación el miércoles.
El pasado 6 de julio se cumplieron 110 años del establecimiento de relaciones diplomáticas entre Rusia y Cuba.
Moscú considera a la isla caribeña uno de sus socios estratégicos en Latinoamérica.
Agradecimiento.
El presidente de Cuba, Raúl Castro, agradeció la “gran generosidad” del pueblo ruso al condonar el 90% de la deuda que la isla contrajo con la extinta URSS, al tiempo que respaldó la actual política, “inteligente” y “de firmeza”, que lleva a cabo Rusia en el ámbito internacional.
“Al cabo de tantos años, que Rusia condone el 90% de esa deuda y que el 10% restante, unos 3.500 millones de dólares, se invertirán en Cuba, es una muestra más y nuevamente una gran generosidad palpable del pueblo ruso hacia Cuba”, dijo Raúl Castro, quien destacó que sin la ayuda del bloque soviético la revolución cubana no habría podido subsistir.
El presidente cubano se reunió ayer con su homólogo ruso, Vladímir Putin, de visita oficial este viernes en La Habana, donde ambos pronunciaron sendos discursos tras firmar sus gobiernos una decena de acuerdos para relanzar la relación bilateral.
Raúl Castro se declaró “muy satisfecho” con el estado de las relaciones entre Rusia y Cuba tras la nueva etapa que se abrió en el año 2000, cuando Putin visitó por primera vez la isla.
También quiso aprovechar el presidente cubano para apoyar la actual política internacional de Putin, con palabras de elogio y también con un pequeño lapsus.
“En la arena internacional coincidimos con la actual política de firmeza y política inteligente que está llevando a cabo la Unión Soviética, digo Rusia”, manifestó textualmente el general Castro.
Según el mandatario cubano, el desplome de la URSS produjo un desequilibrio en el poder mundial, pero a partir del año 2000 “esas fuerzas se empiezan a recuperar y sus efectos los estamos viendo en la actualidad”.
Encuentro.
El presidente de Rusia, Vladímir Putin, y el presidente cubano Fidel Castro se reunieron ayer en La Habana y conversaron durante “una hora” sobre temas de política y economía, informaron fuentes rusas.
“Los dos líderes intercambiaron puntos de vista sobre asuntos internacionales y la economía global. Además, tuvieron una discusión detallada sobre la situación y evolución de las relaciones bilaterales ruso-cubanas”, indicó un comunicado de la Presidencia rusa divulgado en La Habana.
La entrevista con Castro, de 87 años y retirado del poder desde 2006, fue programada como un encuentro informal en el marco de la visita oficial que Putin realizó este viernes a la isla, primera parada de una gira latinoamericana que también lo llevará a Argentina y Brasil en los próximos días.
Presencia.
El gobierno de Rusia dijo en febrero que busca expandir su presencia militar en el ámbito internacional y podría pedir permiso para que sus barcos de la armada usen puertos en Cuba y otras naciones en la región latinoamericana. En los últimos meses se ha visto una embarcación rusa encargado de recabar inteligencia atracar varias veces en la capital cubana.
http://www.eljoropo.com/site/putin-firmo-ley-que-condona-90-de-la-deuda-de-cuba/
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La paura fottuta degli USA
Loro non l'ammetteranno mai, ma l'embargo economico statunitense contro Cuba serve soprattutto ad uno scopo: gli USA sanno benissimo che il maggior pericolo di un attacco militare viene proprio da lì e hanno una paura fottuta che a Cuba arrivino armi che possano servire ad un attacco diretto sul proprio territorio; e questo in vista di una III guerra mondiale. Loro sanno di meritarsi un attacco prima o poi, viste le numerose guerre che hanno scatenato in giro per il mondo, al di fuori dei loro confini. Ed è per questo che continuano a mantenere l'embargo, si tratta di una scelta di primaria importanza strategico-militare, visto che Cuba dista solo 90 miglia! Tuttavia non si rendono conto che non solo da Cuba potrebbe venire il pericolo di un attacco, ma dall'intera America Latina!
Gli USA inoltre hanno un altra grossa ragione per mantenere in vigore l'embargo: sono centinaia i milioni di dollari cubani congelati o non incassati a causa del blocco statunitense. Dal sito granma.cu si legge:
"Secondo il rapporto annuale pubblicato dall’Ufficio degli Attivi Stranieri (OFAC), del Dipartimento del Tesoro, la cifra dei fondi congelati dagli Stati Uniti a Cuba alla fine del 2011 ascendeva a 245 milioni di dollari...".
Cuba quindi in 50 anni avrebbe accumulato tale cifra se non vi fosse stato l'embargo. L'amministrazione Obama teme una causa internazionale di risarcimento da parte di Cuba, causa che se dovesse perdere non sarebbe in grado di onorare a causa della pessima situazione debitoria USA, la cui economia è prossima al collasso a causa di un debito pubblico esorbitante. Percio' la situazione economica americana potrebbe diventare presto insostenibile senza il contrappeso di un qualche importante conflitto d'interesse, sempre ovviamente al di fuori dei propri confini.
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mercoledì 9 luglio 2014
Chomsky: El Gobierno de EE.UU. es capaz de crear una catástrofe total para la humanidad
Publicado: 2 jul 2014
El politólogo Noam Chomsky considera que el próximo siglo podría ser el último de la civilización humana si persisten las políticas actuales de EE.UU, que cada vez se rigen más por las preocupaciones de pocos, a costo terrible para todos.
Según el experto, las políticas de EE.UU. suponen una amenaza para la humanidad, debido a que la seguridad de la población "es una preocupación marginal de los planificadores de las políticas", mientras que las preocupaciones principales, la protección del poder del Estado y del poder privado concentrado, "determinan en gran medida la política estatal", informa el portal TomDispatch. Esta política, continúa el politólogo, que se ve claramente en cómo aborda EE.UU. los problemas del calentamiento global y las armas nucleares, ilustra el cálculo moral del capitalismo estatal anglo-americano contemporáneo: "el destino de nuestros nietos no cuenta nada en comparación con el imperativo de mayores beneficios de mañana".
Estas conclusiones, según Chomsky, están fortificadas por el sistema de propaganda que existe en EE.UU. Hablando del caso del calentamiento global, hay una campaña enorme de relaciones públicas en EE.UU., organizada por la compañía Big Energy y el mundo de los negocios, que trata de convencer al público de que el calentamiento global, una seria amenaza para la humanidad, ya no es real o que no es resultado de la actividad humana.
El caso de las armas nucleares no es menos aterrador: "revela muy claramente que, desde los primeros días, la seguridad de la población era un 'no tema', y lo sigue siendo". Chomsky cita al general Lee Butler, quien cree que hemos sobrevivido hasta ahora una era nuclear por "alguna combinación de habilidad, suerte e intervención divina". Sin embargo, Chomsky subraya que "tampoco podemos contar con la continua intervención divina como los políticos juegan a la ruleta con el destino de las especies en la búsqueda de factores motrices en la formación de políticas".
Chomsky pone de relieve que hoy en día hay muchos problemas que deben ser abordados, pero dos son los más importantes: la destrucción del medio ambiente y la guerra nuclear. "Es imperativo para barrer las 'nubes ideológicas' y enfrentar con honestidad y de manera realista la cuestión de cómo se toman las decisiones políticas", insta. Profundizando en la historia de EE.UU., el especialista apunta a que estas políticas no solo se llevan a cabo en los tiempos actuales, sino que son propias del Estado remontándose a hechos como la guerra de Vietnam, la Independencia de Cuba y la Guerra Fría.
http://actualidad.rt.com/actualidad/view/132717-chomsky-gobierno-eeuu-catastrofe-humanidad
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giovedì 3 luglio 2014
Umanitarismo o neocolonialismo culturale?
La malafede di noi italiani nel circondare di aura umanitaria le nostre missioni di pace all'estero, è a dir poco senza pudore. Ma quale umanitarismo, non siamo ipocriti! Si tratta di puro interesse! E' solo da stabilire il tipo di interesse: se economico, geopolitico, di colonialismo culturale o altro.
Pensiamo ad esempio al Libano. Ma crediamo davvero che laggiu' abbiano bisogno dei nostri soldati, che i libanesi non sappiano cavarsela da soli? Crediamo davvero che abbiano bisogno della nostra intermediazione, un medio-oriente che è stato la culla della civiltà, un popolo evoluto, magari meno di noi a livello tecnologico, ma sicuramente quanto e piu' di noi a livello culturale e umano?
Sembra proprio che nella testa siamo rimasti all'antica Roma: usiamo ancora il bastone e la carota che usavano i legionari per assoggettare le colonie dell'impero.
Il nostro è un falso umanitarismo, che nasconde e presuppone un senso di superiorità culturale, la variante italica e paternalistica del piu' trito eurocentrismo.
Pensiamo ad esempio al Libano. Ma crediamo davvero che laggiu' abbiano bisogno dei nostri soldati, che i libanesi non sappiano cavarsela da soli? Crediamo davvero che abbiano bisogno della nostra intermediazione, un medio-oriente che è stato la culla della civiltà, un popolo evoluto, magari meno di noi a livello tecnologico, ma sicuramente quanto e piu' di noi a livello culturale e umano?
Sembra proprio che nella testa siamo rimasti all'antica Roma: usiamo ancora il bastone e la carota che usavano i legionari per assoggettare le colonie dell'impero.
Il nostro è un falso umanitarismo, che nasconde e presuppone un senso di superiorità culturale, la variante italica e paternalistica del piu' trito eurocentrismo.
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